DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Il prezzo della misericordia

In questo Anno della Misericordia che sta per concludersi, quanti e quanti discorsi abbiamo sentito su questa virtù! Troppo spesso, però, questi discorsi dimenticano il punto essenziale: spiegarci che cosa rende possibile la misericordia nella situazione attuale dell’uomo. Infatti, il Dio misericordioso che ci viene presentato assomiglia, più di una volta, a un bonaccione che perdona tutto a tutti senza distinzioni e, perfino, senza condizioni: passa la spugna e basta...

Ora, un tale modo de concepire la misericordia divina è totalmente erroneo e rende vano ciò che sta al centro della nostra fede: l’Incarnazione del Verbo e la sua morte in croce. Certamente, Dio è disposto a far misericordia a tutti; questa misericordia, però, ha un prezzo. Dio, infatti, se è misericordia, è anche giustizia e l’una cosa non può attuarsi a dispetto dell’altra.

Ora, l’uomo è creatura dotata d’intelletto e di volontà e, quindi, libera e, perciò, responsabile dei propri atti. E questo determina il modo in cui Dio si comporta con esso. Infatti, come insegna san Tommaso, « benché, per fare qualsiasi cosa, sia sufficiente che Dio lo voglia, tuttavia la divina sapienza esige che Dio provveda a ciascuna cosa secondo ciò che è conforme alla sua natura » (Summa contra Gentiles, l. IV, c. 55). L’uomo, avendo volontariamente peccato contro Dio, prima in Adamo poi in ciascuno di noi, può esser riconciliato con Dio solo se questo disordine viene compensato, vale a dire punito, espiato. Ma l’offesa resa a Dio è infinita, come lo è Dio stesso, e l’uomo non è in grado di offrire una espiazione infinita. Allora, Dio decide di provvedere egli stesso all’espiazione facendosi uomo e soffrendo per tutti gli uomini la morte in croce, sacrificio di valore infinito a motivo della persona divina che lo offre nella sua natura umana. In questo modo, siamo stati, secondo l’espressione di san Paolo, « comprati a caro prezzo » (1 Co 7,23): la croce di Gesù è il prezzo della misericordia di Dio.

daniel olsfr. Daniel Ols, O.P.Però, la riconciliazione operata dal sacrificio di Cristo non si trasmette automaticamente a ciascun uomo, ma, per il motivo appena ricordato della coerenza dell’azione divina, richiede da parte nostra « l’impegno della buona volontà » (Summa contra Gentiles, l. c.); una volta giustificati dal battesimo, nella nostra vita quotidiana di cristiani, dobbiamo per primo, pentirci veramente dei peccati che commettiamo, ché sarebbe contrario alla giustizia divina perdonare a chi non si pente, e dobbiamo, poi, adoperarci a riparare, nei riguardi di chi possiamo aver danneggiato o scandalizzato, ma soprattutto nei riguardi di Dio che abbiamo offeso, riparazione quella che facciamo prendendo, come Gesù ce l’ha insegnato, la nostra croce (Mt 10,38; 16,24 e par.). Certamente Gesù ha « pagato » per tutti, ma noi dobbiamo appropriarci questo riscatto, unendoci al suo sacrificio mediante la nostra propria espiazione.

Tale espiazione non consiste necessariamente in opere e sofferenze straordinarie; non abbiamo a imitare il fraintendimento dei monaci irlandesi dell’alto medioevo e nemmeno quello di san Domenico Loricato († 1062), di cui san Pier Damiani si compiace a raccontarci gli exploits ascetico-sportivi (v. PL 144, 1015-1021). Quel che fa, agli occhi di Dio, il valore della nostra penitenza non è la sua pesantezza, bensì la carità che l’anima e la rende meritoria. San Paolo ce l’ha insegnato: « Se do ai poveri tutti i miei averi, se offro il mio corpo alle fiamme, ma non ho la carità, non mi serve a nulla » (1 Co 13,3). E ciò ci fa capire come la nostra espiazione sia, per così dire, interiore alla espiazione di Cristo: essa infatti procede dalla grazia santificante che riceviamo per mezzo di Cristo capo e, come scriveva il cardinale Gaetano, rispondendo a Lutero: « non diciamo che le opere nostre, in quanto sono nostre, ci meritano la vita eterna, ma in quanto sono di Cristo in noi e per noi » (De fide et operibus, c. 12).

Ma il merito, come sappiamo, lo possiamo applicare a noi stessi o anche ad altri. Quando facciamo penitenza per gli altri, per ottenere la loro conversione o la loro perseveranza o la loro liberazione da tale o tale vizio, ecc., non solo lo facciamo grazie alla misericordia di Dio che ci ha giustificati e ci ha dato la sua grazia santificante, ma anche facciamo noi stessi misericordia, unendoci in questo modo, a Cristo non solo a pro nostro, ma soffrendo come Cristo o piuttosto insieme a Cristo per gli altri e, all’imitazione di san Paolo, possiamo dire: « Con le mie sofferenze completo in me ciò che Cristo soffre a vantaggio del suo corpo, cioè della Chiesa » (Col 1,24). Così veniamo a riscoprire questa verità troppo dimenticata che la prima opera di misericordia, prima perché riguarda direttamente la salvezza eterna degli altri, è l’espiazione offerta per essi.

fr. Daniel Ols, O.P.

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