DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

La misericordia nella Divina Commedia e negli scritti di santa Caterina da Siena

La Chiesa da sempre, ha tenuto in grande considerazione il “ Cantore della fede “ , anche i Sommi Pontefici, nel corso dei secoli, lo hanno via via ricordato. Leone XIII, nel 1886, aveva istituito presso l’Istituto Leoniano dell’università dell’Apollinare ( poi Lateranense ) una cattedra dantesca. Benedetto XV, lo celebrò nell’enciclica “ In praeclara summorum “ il 30 - IV - 1921 nel centenario della morte.

Il Papa Paolo VI lo celebrò invece, nel VII centenario della sua nascita con la straordinaria lettera apostolica “Altissimi cantus “ del 7 - XII - 1965 . Per venire più vicino ai nostri giorni, va detto, che Giovanni Paolo II, sovente ha attinto alla Divina Commedia, ma anche Benedetto XVI , lo ha ricordato e citato più volte. Papa Francesco il 4 - V -2015, ha inviato un messaggio al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, per i 750 anni dalla nascita (1265 – 1321).

Noi, lo vogliamo ricordare in questo anno straordinario del Giubileo della Misericordia ormai concluso, insieme a Santa Caterina ( 1347 – 1380 ). In un articolo apparso sull’Osservatore Romano del 1961, Adriana Cartotti Oddasso, riportava un pensiero del cardinale Alfredo Ottaviani sugli scritti di Santa Caterina: “ Tutto l’epistolario della Santa è una vampa di fuoco, un uragano di amore; e come arte sta tra la Divina Commedia e la Cappella Sistina, come rapimento ed estasi tra Francesco d’Assisi e Giovanni della Croce ed è tutto un inno all’amore crocefisso”.

Sempre Adriana Cartotti Oddasso, nota studiosa cateriniana, giustamente diceva che Dante è il padre della nostra poesia, mentre Santa Caterina è la madre della nostra prosa. L’enciclica di Benedetto XV, non esalta soltanto il poeta, ma in qualche modo giustifica, le frequenti invettive di Dante nei confronti dei Papi e gli ecclesiastici di quel tempo, sottraendolo così a quell’alone di anticlericalismo che si andava diffondendo già nell’ottocento. Va ricordato altresì, come annota giustamente Anna Maria Chiavacci Leonardi: Dante mantenne sempre come Santa Caterina un alto senso di riverenza verso l’ufficio sacro” la reverenza de le somme chiavi “ ben distinto, dalle colpe delle persone ,che occupano tale ufficio ( Inferno canto XIX v. 101 ). “ A chi lascio le chiavi del sangue? Al glorioso apostolo Pietro e a tutti gli altri, che sono venuti o verranno, di qui all’ultimo dì del giudizio, cosicché tutti hanno o avranno quella medesima autorità che ebbe Pietro. Per nessun loro difetto diminuisce questa autorità… “ ( Dialogo. Cap 115 ). Di Caterina da Siena , Laica , illetterata ,Terziaria Domenicana e Santa, almeno 32 Papi si sono occupati di Lei lungo i secoli, scrivendo documenti esaltandone la santità di vita e la dottrina fino a conferirLe il titolo di Dottore della Chiesa Universale. Per Dante Alighieri laico, credente , poeta sommo, ma non santo ,mai un Papa aveva scritta e dedicata un’enciclica. La Senese, canta in modo mirabile, la Misericordia di Dio, come pochissimi hanno saputo fare in tutti i suoi scritti: nel Dialogo come nelle Orazioni e nelle 381 Lettere. A proposito di Misericordia, non tutti sanno che la Bolla scritta da Pio II per la canonizzazione di Santa Caterina il 29 giugno 1461 inizia cosi: Misericordias Domini… additandola alla Chiesa universale, quale modello di santità. Dante configura il suo poema, come un viaggio attraverso i tre regni dell’aldilà, Inferno, Purgatorio e Paradiso. L’argomento dell’opera è descrivere lo stato delle anime dopo la morte. L’oggetto centrale è l’uomo che meritando o demeritando, per mezzo della libertà ottiene il premio o la pena eterna. alfredo scarciglia    fr. Alfredo Scarciglia, O.P.In definitiva, l’uomo in quanto libero decide il proprio destino. Nel Dialogo, ( cap. 43 ) Santa Caterina fa una triplice distinzione: coloro che muoiono nella perfezione della carità, gustano subito il “ Sommo bene “ il Paradiso. Coloro che sono trovati imperfetti al momento della morte “ giungono al luogo del Purgatorio “, infine coloro che muoiono in odio e disperazione ognuno sceglie “ il luogo suo “ cioè l’Inferno. Ora vogliamo in questo contesto evidenziare come il “ Signore dell’Altissimo Canto “ si rapporta in maniera singolare con la Misericordia di Dio nel suo capolavoro: La Divina Commedia, giacché, come scrisse in modo eccelso nella sunnominata enciclica, Paolo VI: “ Il fine della Divina Commedia è anzitutto pratico ed è volto a trasformare e a convertire. Essa in realtà non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma soprattutto di cambiare radicalmente l’uomo e di condurlo dal disordine alla sapienza, dal peccato alla santità, dalle sofferenze alla felicità, dalla considerazione terrificante dei luoghi infernali alle beatitudini del Paradiso”.

Il Quaderno cateriniano N: 23 , pubblicato da Cantagalli nel 1980, ha come titolo: Dante e S. Caterina, a cura della Contessa Maria Teresa Balbiano d’Aramengo. Diviso in sette capitoletti e corredato da una conclusione, è certamente uno studio comparativo prezioso. Così si esprimeva Mons. Castellano Arcivescovo di Siena, nella presentazione: “ Dante e Caterina sono, ognuno a modo suo, i profeti di quel tempo; ma proprio perché profeti di Dio, hanno insegnamenti attuali in ogni tempo”. L’allora Maestro Dell’Ordine dei predicatori Fr. Timothy Radcliffe o.p , nella presentazione de : Il Dialogo ( Ed. Cantagalli 1995) a cura di Giuliana Cavallini, così scriveva: Come Cristo e Domenico ( Caterina ) sta a colloquio con Dio Padre. Colloquio aperto con petizione universale di misericordia per se, per la Chiesa, per il mondo, in un tempo ( 1378 ) crucialissimo per la sposa di Cristo e la cristianità d’Europa. Non è il mistero dell’incarnazione di Dio un prodigio di misericordia? “ Misericordia voglio e non sacrificio “ affermò Gesù citando il profeta Osea. Misericordia per i peccatori invocava Domenico ogni volta che intraprendeva la predicazione del Vangelo. Per questo il Libro di Caterina si potrebbe anche denominare Dialogo della Divina Misericordia. Mirabile scritto di mirabile donna è un colloquio, sì, ma non chiuso strettamente nel circuito tra lei terrena e il Padre celeste. E’ un dialogo aperto a tutto il mondo, contenitore di un deposito dottrinale universale; conseguenza logica di una misericordia universale”. Il Dialogo è una risposta divinamente luminosa alle quattro domande poste dalla Santa. Essa le riassume poi in modo breve e chiaro nel cap. 166, che ci dà il filo conduttore del pensiero, riassumendo le quattro risposte dell’Eterno Padre. Queste risposte, vengono chiamate, le quattro grandi misericordie. Misericordia per Caterina , misericordia al mondo, misericordia per la Santa chiesa, misericordia per un caso particolare. Caterina da Siena nasce nel 1347, 26 anni dopo la morte dell’Alighieri ma già al suo tempo, la Divina Commedia era commentata in chiesa. Il commento su cui mi baserò per questa riflessione è quello di Anna Maria Chiavacci Leonardi, storica, che ha dedicato la sua vita accademica agli studi su Dante Alighieri, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “ Signora della Commedia “. Vediamo ora, come il Cantore della fede, affronta nella Divina Commedia il tema della Misericordia, pertanto dobbiamo chiederci: qual è il punto di divergenza tra l’inferno e il purgatorio? La differenza e quindi la divergenza tra l’inferno e il purgatorio, Dante la chiama: il poter rivolgersi a Dio, dunque la conversione del cuore! Un bell’esempio è il punto di morte di re Manfredi, che Dante mette nel purgatorio. ( Purgatorio III vv. 118 – 120 )

“ Poscia ch’io ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei, piangendo, a quei che volentier perdona. Orribil furon li peccati miei;ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”.

Il re Manfredi scomunicato e peccatore ( orribil furon li peccati miei ) che, già ferito a morte in battaglia, si rivolge a Dio con lacrime ( io mi rendei piangendo ) e ne riceve l’abbraccio e il perdono, questo ci dice l’infinita ampiezza della misericordia divina, la gratuità della salvezza ( data a chi ha peccato fino all’ultima ora ) e l’unica cosa richiesta all’uomo per ottenerla: la conversione del cuore, anche all’ultimo breve istante, anche con una sola lacrima ( come dirà poi Buonconte ) anche con una sola parola. ( ma la bontà infinita ha sì gran braccia / che prende ciò che si rivolge a lei ). Dante è sempre attento nella sua opera a raccogliere e sostenere ogni elemento della teologia che sottolinei l’aspetto, la faccia, il volto misericordioso di Dio. Papa Francesco nella Bolla d’indizione del Giubileo straordinario: Misericordiae Vultus al n: 3 dice: “ Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona” . Sempre Papa Francesco nell’omelia in occasione dell’apertura della Porta Santa a Santa Maria Maggiore il 1° gennaio 2016 , così si esprimeva: “ Non c’è alternativa: deve avere:” la stessa estensione di quello di Gesù sulla croce, e di Maria ai suoi piedi”. Il perdono della Chiesa “ non può fermarlo la legge coi suoi cavilli, né la sapienza di questo mondo con le sue distinzioni.

Toccato dalla misericordia fu pure Oderisi da Gubbio: “ se non fosse/ che , possendo peccar, mi volsi a Dio”. Oppure Adriano V: “ La mia conversione, omè! Fu tarda…” Ancora Papa francesco nella Bolla scrive al n: 2 “ E’ l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Su questa linea s’incontra anche Sapia: “ Pace volli con Dio in su lo stremo / de la mia vita”. Ricordiamo inoltre Buonconte ( Purgatorio V vv. 102 )

“ Quivi perdei la vista e la parola; nel nome di Maria finì, e quivi caddi, e rimase la mia carne sola. Io dirò vero, e tu ‘l ridì tra’ vivi: l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno gridava: “ O tu del ciel, perché mi privi ? tu te ne porti di costui l’etterno per una lagrimetta che ‘l mi toglie; ma io farò de l’altro altro governo! “ Si potrebbero dire tante cose, ma cerchiamo di cogliere le principali, intanto il ricordo del nome della Madre del Salvatore degli uomini, in punto di morte, e poi “ la lagrimetta “ questa parola al diminutivo, pronunciata con disprezzo dall’angelo dell’inferno, il diavolo. Qui non c’è un gran pianto, nemmeno una lunga preghiera, ma una sola lacrima piccola minima, ebbene, questo è bastato a strappare quell’anima dall’inferno e ridonarla a Dio. Il diminutivo esprime poi, la sproporzione tra la lagrimetta e la salvezza eterna, colmata dalla misericordia divina. Dante la userà ancora con lo stesso valore, per la vedovella di Forese il cui pianto ha tolto allo sposo lunghi anni di pena. ( purgatorio XXIII v. 92 ) Sempre nel Purgatorio al canto V, v v 130 – 136, Dante include tra i morti per forza e peccatori fino all’ultima ora Pia de’ Tolomei. La penitente prende parola dopo Bonconte” Noi fummo tutti già per forza morti, e peccatori infino a l’ultima ora; quivi lume del ciel ne fece accorti, sì che, pentendo e perdonando, fora di vita uscimmo a Dio pacificati, che del disio di sé veder n’accora”. Anna Maria Chiavacci Leonardi, nella sua introduzione all’ ” Inferno “ fa notare come Dante sia un ricercatore, come più volte dichiara lui stesso nelle sue opere, di quella che egli chiama l’umana felicità, cioè la piena realizzazione dell’uomo; felicità che la sua ansia insaziabile, l’alto disio, come egli dice, prima ricercò nel sapere ( Il Convivo ) poi nel perfetto ordine politico ( La Monarchia ), e infine trovò soltanto in Dio : “ E io ch’al fine di tutt’i disii / appropinquava, sì com’io dovea, / l’ardor del desiderio in me finii ”. Dante racconta all’uomo insicuro il suo destino eterno, ma non lo fa con un linguaggio religioso. croce paradiso danteEgli è un laico, non un chierico, e cioè un uomo immerso nella storia, che della storia si fa carico, e della storia conosce tutti i dolori, e dell’uomo conosce, e ne è partecipe, la miseria e la grandezza. La ragione del canto XXVII dell’Inferno, evidenzia il fatto che : la salvezza dell’uomo sta nel pentimento e nella sincera conversione del cuore. Che questo sia il vero senso della storia apparirà chiaramente nel V canto del purgatorio. Qui ci sono infatti i “ pentiti dell’ultima ora “. Per Dante è fondamentale quell’ “ attimo “ in cui fede e amore bastano all’uomo e a Dio, perché qualunque vita sia riscattata e salvata: evento proprio dello spirito, e quindi non misurabile con la categoria del tempo. Quell’evento che nel Vangelo è significato dall’episodio del buon ladrone, salvo per una parola, e primo fra gli uomini a entrare nel regno dei cieli. ( Luc. 23,39 – 43 ). Questi salvati dell’ultima ora, sono tali perché la grazia divina illuminò il loro cuore così che pentendo e perdonando morirono pacificati con Dio.

E ‘ ntanto per la costa di traverso venivan genti innanzi a noi un poco, cantando “ Miserere “ a verso a verso. ( Purgatorio V , vv. 22 – 24 )

Il Miserere è l’inizio del salmo 50 “ Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam “ il salmo penitenziale per eccellenza, composto dal re Davide per chiedere perdono a Dio del suo peccato. Nell’ambito del matrimonio mistico di Santa Caterina ( 1367 ) tra i personaggi presenti, il re Davide è figura di spicco , in quantoché è il cantore ispirato di melodie dolcissime e oltre a cantare l’amore di Dio per il popolo d’Israele, come l’amore dello sposo per la sposa, canta l’amore misericordioso di Dio per gli uomini. Amore misericordioso, sperimentato in prima persona.

Dante infatti, definisce il re Davide: “ Il cantor che per doglia / del fallo disse “ Miserere mei “ ( Paradiso XXXII vv. 11 – 12 ) . Nel canto IX del Paradiso, Dante ci mette, madonna Cunizza da Romano, donna di facili costumi, condusse una vita di piaceri. In vecchiaia si stabilì a Firenze, fu benevola con tutti, misericordiosa e pia. Pentita e col cuore rivolto a Dio, ebbe la capacità di trasformare il suo terreno amore, nel più alto e ardente amore per Dio.

Prima di addentrarci nella terza “ sublimis cantica, quae decoratur tituli Paradisi “ come il nostro autore, con profonda consapevolezza e bellezza, la definì, vorrei qui, ricordare un libro, scritto dal P. Carlo Riccardi, fervente caterinato, grande studioso e conoscitore della Mistica di Fontebranda . Nel 1996 pubblicò: “ Maria S.S. nella vita e nel pensiero di S. Caterina “. La presentazione, la scrisse l’allora Priore Generale dei Caterinati Comm. Aldo Bacci, il quale, si soffermò sull’Alighieri. “ La Commedia, non v’è dubbio, è poema perfettamente, radicalmente cristiano, perché mirabilmente “ mariano “. E’ il poema della mediazione universale di Maria. “ Donna sei Tanto grande e tanto vali, che chi vuol grazia ed a Te non ricorre, sua disianza vuol volare senz’ali”.

“ Tutto ciò che avviene nel mondo della Grazia è dovuto alla materna intercessione di Maria, la quale muove Lucia, Beatrice e Virgilio al soccorso di Dante, simbolo dell’umanità. E’ lei che si muove a pietà e spinge gli altri a compassione. E’ lei a render possibile la salvezza del Poeta che l’ha sempre invocata “ e mane e sera “, Regina del cielo e soccorritrice dei peccatori”. L’Alighieri con quel suo XXXIII canto del Paradiso dà il suo colpo d’ala finale e vola, vola in alto, ardente nella fede, sommo poeta, ai piedi di Maria S.S., mentre Bernardo caldo e solenne, esordisce con quella preghiera pacata, dolcissima, ma immensa e inebriante”. Adesso, vediamo come “ il poeta cristiano nel senso più profondo” così lo definiva il filologo tedesco Erich Auerbach ( 1892 – 1957 ) ci vuol dire in questa preghiera mariana. Tre cose essenziali sono dette, in questa preghiera. La prima è che in Maria S.S. si è compiuta l’incarnazione di Cristo. La seconda è il tema della speranza, che non serve in cielo, ma che è l’unico conforto e sostegno dei mortali in terra. Infine di lei si ricorda la prima connotazione, quella da cui muove lo stesso racconto del poema: In te misericordia, in te pietate… Quella misericordia che è uno dei volti di Dio, prende quasi persona in Maria; attraverso di lei, si direbbe, Dio vuole manifestarla e riversarla sugli uomini.

“ In Te misericordia, in Te pietate, in Te magnificenza, in Te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”.

( Paradiso XXXIII v. 21 )

In Te misericordia… l’ultima terzina dedicata alla lode celebra, in un forte crescendo, non varie virtù di Maria, ma un’unica sua virtù, quella per cui ora è invocata: la sua misericordiosa, pietosa, larga bontà pronta a riversarsi sugli uomini.

Se Santa Caterina, sviluppa una speciale devozione a Maria S.S. fin da bambina, recitava un’ave a ogni gradino che saliva della casa paterna posta in Fontebranda , che tra l’altro Dante immortala in una magnifica terzina del canto XXX dell’Inferno, cantandone le acque fresche e genuine .” Ma s’io vedessi qui l’anima trista di Guido o d’Alessandro o di lor frate,per Fontebranda non darei la vista “ .La Santa fontebrandina, inizia anche a scrivere il Dialogo nel dì ,di Maria, ( il sabato ) e le Lettere, oltre a essere scritte nel “ prezioso sangue di Cristo “ sono anche scritte, nel nome di Maria dolce. Santa Caterina sa che Maria, è per noi la migliore visione del Verbo incarnato, nel quale ella è così intimamente unita ,e Maria sa, dice ancora Santa Caterina, che il quasi infinito potere che le è dato “ a causa del Verbo “, le è dato per il bene dell’umanità per amore della quale il Figlio di Dio, divenne figlio suo.

Non è assente nemmeno nella vita di Dante, la devozione a Maria S.S. , e sappiamo che non è nemmeno saltuaria, giacché, lui stesso dice: “ Il nome del bel fior ch’io sempre invoco e mane e sera “. Qui, Dante racconta della sua quotidiana venerazione e devozione alla Vergine. E’ davvero incredibile come, sia il Fiorentino che la Senese, siano sulla stessa lunghezza di pensiero su Maria, in quanto madre del Verbo incarnato e madre di misericordia. Così Santa Caterina nell’Orazione XI: “ O Maria, Maria, Tempio della Trinità! O Maria, portatrice del fuoco! Maria, porgitrice di misericordia, Maria ricomperatrice dell’umana generazione, perché sostenendo la carne tua nel Verbo fu ricomprato il mondo: Cristo lo ricomprò con la sua passione e tu col dolore del corpo e della mente. Emblematica è la lettera n: 276 indirizzata a una meretrice in Perugia, scrive così:” ricorri a quella dolce Maria che è madre di pietà e di misericordia. Ella ti menerà dinanzi alla presenzia del figliolo suo, mostrandogli per te il petto con che ella il lattò, inchinandolo a farti misericordia.

Tu, come figliola e serva ricomperata di sangue, entra allora nelle piaghe del Figliolo di Dio; dove troverai tanto fuoco di ineffabile carità, che consumerà e arderà tutte le miserie e’ diletti tuoi”. Nel “ Dialogo “ è Dio Padre che parla e spiega a Caterina: “ A lei ( la dolcissima madre Maria, de l’unigenito mio Figliolo ) è dato questo ( privilegio ), per reverentia del Verbo, da la mia bontà: che qualunque sarà colui, o giusto o peccatore, che l’abbia in debita reverentia, non sarà tolto né divorato dal dimonio infernale” ( D. cap. 139 ). Caterina di misericordia se ne intende, giacché, ritorna sovente come un ritornello nelle Orazioni, quando scrive dicendo che: la misericordia è propria di Dio, che è dappertutto, è nel mondo, si compone nella giustizia, non punisce quando potrebbe, e Dio è così costretto dalla sua infinita bontà a non chiudere l’occhio della misericordia. Nonostante la redenzione operata da Dio Padre per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo, Caterina sa che non tutti accoglieranno la Parola e non tutti si salveranno. Sa inoltre che non vi sono uomini totalmente cattivi, che cioè nella loro vita abbiano fatto sempre e unicamente il male: alcuni infatti, pure essendo grandi peccatori, qualche buona azione l’hanno compiuta o la compiono; Caterina allora domanda che ne sarà mai di costoro. Ed ecco la risposta che l’Eterno Padre le dà: “ Il bene che si fa in grazia senza peccato mortale vale a vita eterna; ma quello che si fa con la colpa del peccato mortale non vale a vita eterna. Nondimeno è remunerato in diversi modi, sì come sopra ti dissi. Unde alcuna volta Io lo’ presto il tempo, o Io li metto nel cuore dei servi miei per continua orazione, per le quali orazioni escono della colpa e delle miserie loro “. Tutto ciò Caterina lo esprime quando è in dialogo con Dio Padre misericordioso. Se la misericordia divina, nella Divina Commedia, risplende nel Purgatorio e nel Paradiso, Santa Caterina a differenza di Dante, la misericordia la vede perfino nelle profondità dell’inferno. Il discorso di Caterina prosegue, e si porta su coloro che si danneranno. Giunti nonostante tutto all’inferno, anche qui la misericordia divina tiene conto di quel poco di bene che essi hanno compiuto in vita, per cui anche nell’eterna dannazione risplende la misericordia infinita dell’Eterno Padre. Ecco come si esprimeva Caterina rivolgendosi all’Eterno Padre: “ Nell’altezza del cielo riluce la tua misericordia, cioè nei santi tuoi. Se io mi volgo alla terra, ella abonda della tua misericordia. Nelle tenebre dello ‘nferno riluce la tua misericordia non dando tanta pena a’ dannati quanta ne meritano. ( D. Cap.30 )

All’inizio della Divina Commedia, quando Dante, si ritrova in una selva oscura, usa questa espressione” per trattar del ben ch’i’ vi trovai “. La Leonardi annota: la salvezza, infatti ( la salvezza, la redenzione ) viene all’uomo, nella teologia cristiana, proprio nella sua condizione più tragica di lontananza da Dio ( si veda il Boccaccio : “ lo qual bene niuna altra cosa credo sia da intendere, se non la misericordia di Dio ). Pertanto,il cammino intrapreso da Dante, si svolge attraverso la tragedia dell’irreversibile fallimento nell’inferno, segue mediante la purificante speranza nel purgatorio, fino a giungere alla luminosa beatitudine del Paradiso, sempre per grazia e misericordia.

Santa Caterina, dice che Dio è più atto a perdonare che noi a peccare ( L.343 ), pertanto non dobbiamo mai disperare del perdono di Dio, sarebbe il peccato più grave, imperdonabile, nel cap. 37 del Dialogo, Dio Padre dice: “ ( l’uomo ) giudicando maggiore la miseria sua che la misericordia mia: questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché non à voluto, spregiando, la mia misericordia, però che m’è più grave questo che tutti gli altri peccati che egli à commessi, onde la disperazione di Giuda mi dispiacque più e fu più grave al mio Figliolo, che non il tradimento ch’egli fece”. caterinasiena9Sulla scorta del tema della speranza che non serve in cielo, ma è il sostegno di noi comuni mortali sulla terra, Santa Caterina, sempre nella Lettera 343, scrive:” Ora vediamo che frutto ci dà ( la fede ). In questa vita ci dà la plenitudine della Grazia; e nell’altra, vita eterna. Cui ha posto Dio, che ce la ministri? La speranza. In cui virtù? In virtù del sangue dell’umile Agnello. Questa è quella speranza umile, la quale non spera in sua virtù propria, né si dispera per veruna colpa che sia caduta nell’anima sua; ma spera nel sangue, e caccia la diperazione, giudicando maggiore la misericordia di Dio, la quale truova nel sangue, che la miseria sua”.

Caterina interroga, ascolta la voce che misteriosamente le parla nell’anima, ringrazia, prega, chiede chiarimenti, loda la compiacente bontà del Padre nel rispondere ai suoi quesiti e non si fa scrupolo di dire a Lui il suo “ voglio “ , espressione di un volere cosciente di essere, in perfetta sintonia con la divina volontà, e ingentilito da quel “ per grazia “ in cui traspare la coscienza del proprio nulla: “ Voglio dunque, e per grazia a te lo domando, che abbi misericordia al popolo tuo per la carità increata che mosse te a creare l’uomo a la immagine e similitudine tua “.

E Caterina assaporando in questo dolce dialogo col Padre nostro celeste il fuoco dell’amore di Dio per l’uomo, s’innalza in un vibrante rendimento di grazie quanto mai solenne alla Divina Misericordia : “ O eterna Misericordia, la quale ricuopri i difetti delle tue creature, non mi maraviglio che tu dice di coloro che escono del peccato mortale e tornano a Te: “ Io non mi ricorderò che tu m’offendessi mai”. O misericordia ineffabile, non mi maraviglio che tu dica questo a coloro che ti perseguitano. Io voglio che mi preghiate per loro, a ciò che Io lo’ facci misericordia. O misericordia, la quale esce dalla deità tua, Padre Eterno, la quale governa con la potenzia tutto quanto il mondo! Nella misericordia tua fummo creati; nella misericordia tua fummo ricreati nel sangue del tuo Figliolo. La misericordia tua ci conserva. La misericordia tua fece giocare in sul legno della croce il figliolo tuo alle braccia, giocando la morte con la vita e la vita con la morte. E allora la vita sconfisse la morte della colpa nostra, e la morte della colpa tolse la vita corporale allo immaculato Agnello. Chi rimase vinto? La morte. Chi ne fu cagione? La misericordia tua. La tua misericordia dà la vita: ella dà lume per il quale si “ cognosce “ la tua clemenzia in ogni creatura, ne’ giusti e ne’ peccatori. Nell’altezza del cielo riluce la tua misericordia, cioè ne’ santi tuoi. Se io mi volgo alla terra ella abonda della tua misericordia. Nella tenebre dello ‘nferno riluce la tua misericordia, non dando tanta pena a’ dannati quanta meritano. Con la misericordia tu mitighi la giustizia; per misericordia ci ài lavati nel sangue; per misericordia volesti conversare con le tue creature. O pazzo d’amore: non ti bastò incarnare, che anco volesti morire? Non bastò la morte che anco descendesti allo inferno, traendone i santi padri, per adempire la tua verità e misericordia in loro? Però che la tua bontà promette bene a coloro che ti servono in verità, imperò discendesti al limbo per trare di pena chi t’aveva servito, e renderlo’ il frutto delle loro fadighe ! La misericordia tua veggo che ti costrinse a dare anco a l’uomo, cioè lassandoti in cibo acciò che noi debili avessimo conforto, e gl’ignoranti, smemorati non perdessero la ricordanza dei benefizi tuoi. E però el dai ogni dì a l’uomo, rappresentandoti nel sacramento dell’altare nel corpo mistico della santa Chiesa. Questo chi l’à fatto? La misericordia tua. O misericordia! Il cuore ci s’affoga a pensare di te chè ovunque io mi vollo a pensare non trovo altro che misericordia. O Padre eterno, perdona all’ignoranzia mia che ò presunto di favellare innanzi a te, ma l’amore della tua misericordia me ne scusi dinanzi alla benignità tua”. ( Dialogo Cap. 30 ) Se il fine della lettura della Divina Commedia è volto a trasformare e convertire l’uomo, le pagine infuocate del Dialogo, sono state composte dalla Santa per strappare tante anime, le nostre anime, al fiume travolgente del peccato e attraverso la Divina misericordia condurre tutti alla salvezza.

fr. Alfredo Scarciglia, O.P.

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