DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Alla fine di un Giubileo

E’ stato pubblicato e diffuso largamente il testo dell’omelia tenuta dal Patriarca di Venezia Francesco Moraglia in occasione della solenne liturgia che chiudeva l’anno giubilare domenicano a Santa Maria del Sasso il 21 gennaio c.a.

Vista la forte impressione suscitata nel sottoscritto e nella folla dei presenti in quella così solenne circostanza, vengo a esporre alcune annotazioni e a mettere in evidenza alcuni punti. L’anno del doppio Giubileo, quello generale (8 dicembre 2015-8 dicembre 2016) e quello domenicano (7 novembre 2015-21 gennaio 2017) è stato caratterizzato da Papa Francesco con la (troppo) ripetitiva proposta della Misericordia: argomento sul quale da subito e con sospetto zelo si sono tuffati i media, quasi che ormai tutto sia divenuto perdonabile e accettabile a prescindere.

Inoltre lo stesso Pontefice nel documento di indizione del Giubileo aveva solo accennato in un solo piccolo paragrafo, quasi tra parentesi (Misericordiae vultus, n.22) al frutto finale, all'Indulgenza, senza specificare se plenaria o meno, il che aveva subito indotto alcuni commentatori a domandarsi se con questo Papa si sarebbe finito anche di parlare di remissione della pena conseguente il peccato, del purgatorio. Poco prima ,a suo tempo, Eugenio Scalfari su Repubblica aveva pensato di poter affermare che Papa Francesco aveva eliminato il peccato. Alcuni commentatori interessati hanno parlato di un “finalmente..”, così si apre la possibilità per una intesa con le altre professioni religiose, in particolare con i Luterani, con i con i quali è previsto un prossimo incontro. Altri ancora, ma con un certo sarcasmo, ipotizzano il ritiro della scomunica a Lutero - cosa in realtà così risibile, trattandosi di un morto....

Ora, l’omelia del patriarca di Venezia, partendo proprio dal motto domenicano “veritas” ha destato enorme interesse e approvazione per l’audacia, completezza, e serenità con le quali ha toccato proprio i punti fondamentali del problema, senza nulla nascondere.

Ecco, in sintesi, brani principali dell'omelia:
[...]"Lungo le strade comuni di questi due anni giubilari, - quello domenicano che si conclude oggi e quello della misericordia, terminato da poco - possiamo e anzi dobbiamo riscoprire la charitas veritatis, la carità della verità. Questo vuol dire avere sempre più, dinanzi a noi, nella vita cristiana, il binomio inscindibile verità/carità come viene scandito nel nuovo testamento: ”La carità si rallegra della verità” (1Cor 13, 4.6). Anche in Giovanni (Gv 14,15-17) ritorna il binomio carità/verità preceduto significativamente dalla richiesta di osservare i comandamenti. In ogni modo, a ben vedere, il binomio carità/verità contiene il seme ed è la radice di ogni opera di misericordia. In Gesù trova, in tal modo, il suo pieno compimento l’annuncio profetico di Isaia che poco fa è stato proclamato: il popolo che camminava nelle tenebre ha visto un grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse (Is 9,1)

Il carisma del fondatore San Domenico bene si esprime in questa “grande luce” e ne è diventato limpida e brillante trasparenza; e a Santa Caterina da Siena, luminoso fiore dell’Ordine domenicano, il Signore stesso ispira questo ritratto di Domenico: “Nel mondo pareva un apostolo; con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando le tenebre e donando la luce. Egli fu un lume, che io porsi al mondo per mezzo di Maria….”(Dialogo, c.158). L’amore per Dio, l’amore per la verità divina, ossia la charitas veritatis fu ciò che sempre guidò San Domenico. Viviamo noi, per primi , nella verità e nella carità, mostrando a quelli che ci stanno accanto che cos’è la vita di Dio e in Dio. Non separiamo mai carità e verità: vorrebbe dire dividere ciò che è indivisibile nell’unione originaria. giovanni serrottifr. Giovanni Serrotti, O.P.Ogni peccato -prima di avere un suo profilo specifico e un suo proprio contenuto- è, nella sua radice, carenza di verità e carità. Il peccato, anzi, consiste in questa separazione : non è qualcosa di immaginario, ma di concreto, che segna la nostra vita e quella della Chiesa. A nessuno,quindi, è lecito in alcun modo banalizzare il peccato pensando che, intanto, Dio è misericordioso e perdona. Certo, Dio è misericordioso e perdona, ma il peccato lacera sia il cuore di Dio, sia dell’uomo, sia della comunità, e ci chiede la conversione e la riparazione. La rinnovata comunione con Dio deve coincidere con la nostra presa di distanza dal peccato e il nostro rinnovato proposito di abbracciare la verità, di lasciare dietro a noi le tenebre, di camminare finalmente nella luce. Stare nella pace, avere fiducia in Dio Misericordia, superando le ideologie del mondo (il mondo, infatti, eccelle nel costruire sempre nuove ideologie). Il peccato è tradimento dell’amore e della verità, ossia tradimento di Dio. Occorre temere più Dio e meno gli uomini. Saremo più liberi. Forse daremo fastidio a qualcuno, ma assaporeremo la pace della coscienza. Dio va temuto solo perché potremmo perderlo, gli uomini –che vanno sempre amati e accolti- li dobbiamo temere solo se ci allontanano da Dio”

Spunti forti di riflessione per il nostro giubileo domenicano, perché non riguardano solo la Chiesa in generale, tutta la chiesa, ma interpellano soprattutto noi e il nostro vissuto dalle origini ad oggi. Nonostante il nostro carisma, il nostro motto, un serio esame di coscienza ci impone di ricordare quante vicende, quante lotte, quante divisioni e separazioni hanno caratterizzato la storia ottocentenaria del nostro Ordine, fino ad oggi. Personalmente, non posso non ricordare con tristezza lo scandalo degli anni ottanta proveniente dall’Olanda: veniva distrutta la figura e la funzione del sacerdote. In un opuscolo di 38 pagine (Kerk en ambt - Chiesa e ministero), prodotto e diffuso capillarmente dai domenicani olandesi in tutte le parrocchie e chiese in Olanda, si affermava a proposito della celebrazione della messa e di chi poteva presiedere la celebrazione : “[...] Sia che si tratti di uomo o donna, omo o eterosessuale, sposato o celibe, non fa differenza. Ciò che importa è la sua scelta di fede” e al momento opportuno tutta l’assemblea pronunci le parole della consacrazione (!). Ora, non bastava l’enormità di quanto asserito, ma si aggiunse il quasi silenzio delle autorità entro l’ordine domenicano. E il Padre Maestro Generale del tempo interpellato su questo punto da me in occasione della sua visita canonica qui al convento di Santa Maria del Sasso, ebbe a dire: ”... ma io ero in Giappone e mandai una lettera al provinciale olandese affermando che questa non poteva essere la posizione dell’Ordine” tutto e solo qui. Ma mentre la notizia dello scandalo era apparsa sui giornali, di questa “posizione” dell’Ordine nessuno seppe mai. A questo si aggiunge il fatto del coinvolgimento del teologo p. Schillebeecks, che di ritorno un giorno da uno dei suoi incontri-interrogatorio dal santo Uffizio, arrivato a Santa Sabina mentre i frati erano a mensa, da questi, alzatisi in piedi, fu accolto trionfalmente con un fragoroso applauso: che pena... il famoso pioniere del progresso teologico, il grande pensatore che, ha raccontato chi l’ha visto, verso la fine dei suoi giorni andava vagando per le spiagge olandesi, nudo come mamma l’aveva generato. Vien da pensare all’altro più noto e orgoglioso pensatore, l’ateo Voltaire, che sul letto di morte va a bere la sua urina...

Quanto all’oggi, le cose non provocano più reazioni né stupori. Di fronte a movimenti, prese di posizione di adesioni a ideologie, basta accontentarsi della constatazione che anche nell’Ordine Domenicano ci sono progressisti e conservatori, con buona pace per tutti. Ma il problema rimane: che ne facciamo della “Veritas” domenicana?

fr. Giovanni Serrotti, O.P.

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