DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Sobria ebrietas

Lo stile domenicano della santità nella riflessione di Paul Murray O.P.

L’esortazione apostolica Gaudete et exsultate con cui papa Francesco ha inteso far «risuonare ancora una volta la chiamata alla santità» nel nostro tempo e che ha fatto da filo conduttore a questo ciclo di incontri di “Pomeriggi alla Minerva”, offre un’ottima porta di ingresso per comprendere quella via particolare verso la santità voluta da Domenico attraverso la fondazione dell’Ordine.

Il documento ha cura infatti di tratteggiare una santità dal volto “umano”, che rifletta la santità stessa del Dio rivelatosi in Gesù Cristo. Lo sottolineano numerosi passaggi del testo, a partire dalla essenziale constatazione che «La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia» del n. 34; il richiamo a quella vocazione di tutti i battezzati alla santità (LG 39-42) che porta a sottolineare l’importanza non solo dei santi canonizzati ufficialmente dalla Chiesa, ma anche di quella “classe media della santità” (n. 4) che abbraccia tutti coloro che vivono con impegno la vita cristiana nel quotidiano; fino alla denuncia di due eresie antiche (gnosticismo e pelagianesimo) ma sempre ricorrenti nella storia della Chiesa, che minacciano l’autentica chiamata alla santità proponendo un ideale contraffatto di perfezione, non genuinamente cristiano perché nemmeno autenticamente umano. Lo gnosticismo prospetta un cammino intellettualistico di perfezione incentrato sulla conoscenza di una determinata dottrina più che sulla crescita nella carità, prospettando un messaggio cristiano privo della sua dimensione misterica e perciò non di origine autenticamente divina e rivelato per grazia. Lo si scorge in quella pretesa di poter penetrare il messaggio cristiano in tutti i suoi aspetti, eliminandone gli aspetti di oscurità e di intelligenza dinamica, e sostituendolo con un sistema chiuso in se stesso, di cui alcuni potrebbero raggiungere una conoscenza esauriente una volta per tutte. Nel prospettare però il messaggio rivelato come un “sistema chiuso” di dottrine e di conoscenze, lo gnosticismo non solo svuota la fede cristiana del suo aspetto divino e misterico, ma tradisce i limiti stessi della ragione, prospettandole come integralmente attingibile un ambito che può comprendere solo «in maniera molto povera»1, svuotando così anche l’umano della connaturale finitezza e limite che lo costituiscono.

Affine allo gnosticismo è anche la tentazione pelagiana, che pure prospetta una salvezza ottenuto unicamente con sforzo umano, e quindi concorda con la gnosi nella visione di un Cristianesimo senza mistero e senza grazia. Se infatti la via degli gnostici è quella di un progresso della conoscenza come via per attingere la perfezione e la salvezza, il pelagianesimo sposta questo cammino di perfezione dalla conoscenza alla volontà, attraverso un ideale di perfezione incentrato unicamente sugli sforzi e le conquiste umane. Ne deriva una rimozione della costitutiva fragilità e fallibilità umana e una santità intesa come esclusiva realizzazione umana, più che come cammino sotto l’azione di una grazia, che è invece dono e mistero. L’atteggiamento di un neopelagianesimo2 si riscontra in quei credenti che sembrano riporre la loro fiducia esclusivamente nelle strutture e nelle norme ecclesiali: «l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche» (n. 57), diventano altrettanti segnali di un Cristianesimo chiuso in se stesso e preoccupato più del suo prestigio esteriore e mondano che di essere strumento di salvezza.

L’attenzione poi per una figura umana di santità si riscontra poi in quelle “Caratteristiche della santità nel mondo attuale” di cui tratta il Capitolo quarto dell’Esortazione, che richiamano alcune espressioni o stili della santità cristiana, da far risuonare con particolare forza nel nostro tempo. Tra queste il papa si sofferma in modo particolare sulla sopportazione, pazienza e mitezza (nn. 113-121) intese come capacità di «rimanere centrati, saldi in Dio che ama e sostiene», in risposta all’ansietà nervosa e spesso violenta che abita le società postmoderne. Si tratta allora di sottolineare l’importanza di saper opporre alla tentazione dell’aggressività (anche verbale) gli atteggiamenti di umiltà, di fermezza interiore, di serena accettazione di contrarietà e umiliazioni come modo diverso di atteggiarsi di fronte alla vanità del mondo. Ugualmente è importante il richiamo alla “gioia e senso dell’umorismo” che il santo trae direttamente dalla sua fiducia nel Signore a cui si è affidato, e che può costituire un’efficace testimonianza della speranza cristiana in un mondo disilluso e privo di un’autentica attesa del futuro. Infine anche la dimensione comunitaria della santità (nn. 140-146) è degna di nota, perché mostra come la santità cristiana maturi sempre all’interno di un cammino comunitario, e sia essa stessa per sua natura relazionale e comunionale, come mostra l’esperienza anche di tanti uomini e donne all’interno della storia della spiritualità cristiana, vissuti essi stessi in una comunità o comunque sempre ricchi di relazioni e di fecondità apostolica. Nello scenario individualista e autocentrato delle società occidentali, la dimensione gioiosa e umana della comunione cristiana può costituire una provocazione feconda alla riscoperta della relazione e del legame con l’altro.

Come per altri aspetti del suo Magistero3, quanto il papa dice a proposito della santità cristiana per far risuonare nuovamente nel nostro tempo la vocazione di tutti i battezzati alla perfezione della carità, trova riscontro particolare proprio nella tradizione spirituale dell’Ordine fondato da s. Domenico. Esiste infatti un particolare “stile” o modo domenicano di vivere la comune chiamata alla santità, che però non ha a che fare tanto con speciali tecniche o pratiche, ma riguarda semplicemente «l’essere vivi in Dio e per gli altri»4, cioè la vita stessa del cristiano come felice compimento dell’umano-che è-comune. daniele1 aucone   fr. Daniele Aucone, O.P. In un libro di qualche anno fa dal titolo Il vino nuovo della spiritualità domenicana. Una bevanda chiamata felicità, che ho tradotto dall’inglese per le Edizioni ESD, il teologo irlandese Paul Murray, docente di Teologia spirituale presso la Pontificia Università s. Tommaso d’Aquino in Roma (Angelicum), ha messo in luce alcuni tratti caratteristici di quella che si potrebbe definire una “spiritualità domenicana”, che presentano una singolare sintonia con gli aspetti sottolineati da papa Francesco per “dire” la santità al mondo di oggi. Non è un caso del resto che l’intuizione di Domenico sia nata proprio a contatto con l’eresia Albigese quale forma di gnosi medievale incentrata sulla negazione della bontà della Creazione e della materia, e che sembra oggi riaffiorare in quelle forme di falso spiritualismo indicate dal papa. In particolare Murray richiama l’importanza dell’allegria e del buon umore nella tradizione spirituale dell’Ordine, attestata già nelle fonti più antiche. Il primo biografo di Domenico il Beato Giordano di Sassonia ricorda come in lui «l’equlibrio sereno del suo interno si manifestava nella bontà e nella gaiezza del volto»5 La Beata Cecilia dal canto suo, descrive Domenico come uomo che sembrava sempre «sereno e sorridente»6, e si premura di riportare un simpatico episodio della vita del Beato Padre, in cui egli ebbe a smascherare il Diavolo apparso in forma di uccello durante una sua predicazione nel monastero di s. Agnese, episodio che provocò immediatamente grandi risate e allegria tra le suore presenti7.

Lo stesso tratto di ilarità e gaiezza si ritrova nel successore di Domenico alla guida dell’Ordine, il Beato Giordano di Sassonia. Le fonti agiografiche riportano diversi episodi in cui il nuovo Maestro Generale dà prova della sua allegria e libertà interiore, come quando durante una visita a Genova con un gruppo di novizi, interviene nei confronti di un frate anziano che aveva redarguito i confratelli più giovani per una risata:

«Carissimi, ridete pur forte e non smettete per timore di questo frate; ve ne do il permesso io perché avete ben ragione di rallegrarvi e di ridere: siete infatti usciti dalla prigionia del diavolo e si sono spezzati i legami con i quali per tanti anni legati egli vi tenne duramente legati. Perciò ridete carissimi, ridete pure»8.

Inserito in una raccolta di racconti di carattere edificante e agiografico, l’episodio merita tuttavia una certa attendibilità storica, proprio perché si riferisce a un tempo in cui il riso era visto con sospetto e diffidenza negli ambienti di vita religiosa, specie monastici.

Ma è soprattutto all’immagine del vino e alla metafora del bere che Murray ricorre per esprimere il carattere esuberante e contagioso della spiritualità domenicana. Il tema è denso di risonanze bibliche ed evangeliche: la Scrittura parla del “vino che allieta il cuore dell’uomo” (Sal 104) e Gesù stesso parla del Regno come festoso banchetto in cui berrà di nuovo il frutto della vite (“In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”, Mc 14,25) quasi a sottolinearne l’importanza nella vita dell’uomo. Ma la Scrittura accosta anche il tema del bere a quello della vita nuova di cui il credente fa esperienza nello Spirito. Già Geremia ad esempio dice di essere come “come un ubriaco e come un inebetito dal vino a causa del Signore e delle sue sante parole” (Ger 23,9) Lo si vede nel racconto della Pentecoste negli Atti dove l’ebbrezza suscitata dall’effusione dello Spirito viene scambiata per ubriachezza di vino (“Altri invece li deridevano e dicevano: si sono ubriacati di mosto” At 2,13), suggerendo così l’analogia tra l’esperienza del vino e l’ebbrezza dello Spirito suscitata da «quel vino che è il Vangelo»9. Che il tema del vino ritorni spesso nelle fonti agiografiche e spirituali dell’Ordine attesta ancora una volta quella fiducia nella bontà della Creazione e della materia che invece l’ascetismo gnostico disprezzava. Lo si trova già nell’esperienza di Domenico, che in una visita alle suore di s. Sisto le invita a bere a volontà10, e ritorna poi nei racconti della vita dei primi frati, dove il ministro stesso della Parola di Dio è accostato al vino inebriante. La sobria ebbrezza dello spirito esprime bene la natura estatica e apostolica della vocazione dei Predicatori, con il suo riversarsi sugli altri per condividere i frutti della propria esperienza interiore (contemplari et contemplata aliis tradere, secondo la formula di Tommaso), quasi dimentichi di se stessi e della propria stessa identità. «Faremo come l’ebrio che non pensa di sé, se non al vino che egli ha bevuto e che gli rimane da bere»11, scrive con la sua consueta carica espressiva s. Caterina, indicando così un’esperienza che invita già subito ad autotrascendersi, senza fissarsi sulla definizione della propria identità, ma anzi trovandola nell’atto stesso del darsi e offrirsi agli altri. La “via domenicana” per vivere la comune chiamata alla santità, il suo stile nel vivere la vocazione cristiana, ossia la sua spiritualità si racchiude allora proprio in quest’identità estatica e autotrascendente che l’immagine del vino e del bere esprimono plasticamente. Il vino dice allegria e gioia, dice fiducia nella bontà delle realtà create e della materia, dice relazione all’altro e dimensione comunitaria, cioè precisamente quegli elementi richiamati dall’esortazione Gaudete et exsultate perché «tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità».

In una lettera al domenicano p. Perrin del 26 maggio 1942, Simone Weil parlava di un nuovo modo di essere santi nel mondo di oggi, di una “santità geniale” che non si accontenta solo di ripetere schemi e comportamenti del passato:

«Viviamo in un’epoca che non ha precedenti […] Oggi essere santi non basta, occorre la santità che il momento presente esige, una santità nuova, anch’essa senza precedenti»12.

La presa di posizione della filosofa a favore di uno stile di santità in totale rottura rispetto al passato, risente in generale della sua polemica contro la Chiesa e di quella che ha Augusto Del Noce ha chiamato «contraddizione non superata tra gnosi antica e cristianesimo»13. Si può però accogliere il suo invito nel senso di superare una visione angusta e schematica della vita cristiana tipica di una certa teologia neoscolastica, per andare ad attingere dalla fonti più genuine e profonde della spiritualità cristiana, l’autentica comprensione della vocazione alla santità. È quanto ha sentito il bisogno di fare papa Francesco con l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate e quanto ci attestano le fonti storiche e agiografiche dell’Ordine di s. Domenico. La “santità geniale” indicata dalla Weil risuona allora più che come invito a muoversi in direzione di uno stile cristiano «senza precedenti» (che rischierebbe di essere una mera invenzione umana), come richiamo ad attingere alle sorgenti più profonde ed espressive della tradizione spirituale cristiana, liberandole dalle sedimentazioni che il tempo necessariamente vi ha lasciato.

fr. Daniele Aucone, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma

 

---------------------------------

2 g. zanchi, Il neopelagianesimo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2018

3 Ho provato a mettere in luce alcuni significativi elementi di contatto in precedenti riflessioni a cui mi permetto di rinviare, ad es. Non abbiate paura della tenerezza. Il messaggio inaugurale di Francesco (papa) e l’esperienza spirituale di Domenico, https://www.dominicanes.it/ct-menu-item-3/10-omelie/321-non-abbiate-paura-della-tenerezza.html; Educare alla fraternità in un mondo liquido. Contributi domenicani a una sfida ecclesiale, https://www.dominicanes.it/predicazione/meditazioni/1376-educare-alla-fraternita-in-un-mondo-liquido.html

4 t. radcliffe, Prefazione, in p. murray, Il vino nuovo della spiritualità domenicana. Una bevanda chiamata felicità, ESD, Bologna, 2010, p. 13

5 giordano di sassonia, Libellus de initio Ordinis fratrum Prædicatorum, n. 104, in p. lippini, San Domenico visto dai suoi contemporanei, ESD, Bologna, 1998, p. 165

6 sr. Cecilia, I miracoli del Beato Domenico, in p. lippini, San Domenico visto dai suoi contemporanei, cit., p. 413

7 Ivi, pp. 402-403

8 p. lippini, Storie e leggende medievali. Le “Vitæ Fratrum” di Geraldo di Frachet o.p., ESD, Bologna, 1988, p. 204

9 p. murray, Il vino nuovo della spiritualità domenicana. Una bevanda chiamata felicità, cit., p. 165

10 sr. Cecilia, I miracoli del Beato Domenico, in p. lippini, San Domenico visto dai suoi contemporanei, cit., pp. 388-395

11 S. caterina da Siena, Lettera 29 (a Madama moglie di Bernabò Visconti) in id., Le Lettere, Edizioni Paoline, Milano, 1987, p. 635

12 s. weil, La fede implicita (26 maggio 1942), in id., L’attesa di Dio, Adelphi, Milano, 2008, p. 58; l’espressione “santità geniale” è stata poi ripresa da o. clément, Riflessioni sull’uomo, Jaca Book, Milano, 1990, p. 130

13 a. del noce, Simone Weil interprete del mondo di oggi in s. weil, L’amore di Dio, Borla, Roma, 2010, p. 9

Ed iniziò a mandarli a due a due per portare
e predicare al mondo la Parola di Dio
Scopri di più ...

Frati, Monache e Laici Domenicani...
parliamo con Dio e di Dio nel XXI secolo
Scopri di più ...

E se Dio ti avesse scelto? E se ti stesse chiamando ad essere un frate domenicano?
Scopri di più ...