DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

S. Vincenzo Ferrer e la predicazione della Passione di Cristo

Come sempre anche in questo anno mi permetto di proporre un mio piccolo contributo sulla figura di san Vincenzo Ferrer. Siamo tra due grandi parentesi che lo riguardano: il 5 aprile – giorno della sua memoria liturgica nel calendario generale – e il 5 maggio – giorno in cui è fissata la memoria nel calendario dell’Ordine Domenicano. Quest’ anno lo scorso 5 aprile coincideva con la Domenica delle Palme e la Settimana Santa e allora perché non proporre uno spunto sulla predicazione di San Vincenzo e la Passione di Cristo? Dovendo essere sintetici, non si pretende di essere esaustivi ma, come sempre, comunque dare elementi che poi volentieri possono prestarsi ad approfondimenti.

Se si facesse una ricerca su internet di immagini di San Vincenzo ci si accorgerebbe subito di una cosa: sia le raffigurazioni pittoriche, sia quelle scultoree (statue o busti), non tralasciano di raffigurare in maggioranza san Vincenzo che tiene in mano un crocifisso di piccole o di grandi dimensioni.

È importante sapere che questo tipo di raffigurazione così comune non è invenzione degli artisti ma ha un fondamento ben preciso nella vita di questo Santo che ora definiamo come la sua particolare devozione alla Passione di Cristo ma che più avanti capiremo anche a cos’altro si riferisce. In certe occasioni mi piace sempre procedere per cerchi concentrici.

San Vincenzo è stato un cristiano: la nostra redenzione è stata compiuta per mezzo della Passione e della morte di Cristo quindi, la Croce, come nella vita di ogni cristiano, anche nella vita di Vincenzo è stata centrale nell’attenzione e nella preghiera.

San Vincenzo è stato un religioso: i testi conciliari (LG – PC) ci parlano dei religiosi come coloro che attraverso la professione dei consigli evangelici sono chiamati ad imitare Gesù più da vicino, più intimamente e più pienamente. San Vicenzo ha consacrato la sua vita a Cristo ricalcando in essa la figura di Lui casto, povero e obbediente alla volontà del Padre anche nell’ora buia del Getsemani e della Croce.

San Vincenzo è stato un domenicano: non possiamo non dire che nell’Ordine dei Frati Predicatori la Passione di Cristo e la Croce non hanno avuto e non abbiano tutt’ora un posto centrale. A tal proposito è bene ricordare ciò che disse l’Eterno Padre a Santa Caterina a proposito di San Domenico il quale fa nutrire i suoi figli col lume della Scienza alla mensa della Croce. “Egli altro non vuole che i suoi figli ad altro attendano che a stare su questa mensa col lume della Scienza” (Dialogo, 158). Non possiamo inoltre dimenticare la compassione di Domenico, che san Vincenzo fece sua e che, come il suo fondatore, lo configurò perfettamente a Cristo non solo nel guardare le folle “come pecore senza pastore”, ma nel sacrificare se stesso e – attraverso la ventennale predicazione - spendere la propria vita per la loro salvezza.

San Vincenzo dunque come religioso Domenicano ha cercato di riprodurre il mistero della Croce nella sua vita perché quella perfezione a cui ha cercato di tendere è in questo mistero. ennio grossi   don Ennio Grossi
   (fr. Luigi Maria, O.P.)
San Vincenzo come sacerdote e ‘pastore d’anime’ si è sacrificato con Cristo per il popolo che lui gli aveva affidato: “Alzati, Vincenzo mio! Va’ e predica per tutte le parti dell’Europa, il mio Vangelo!”.

Fatte queste debite e sintetiche premesse - che ci hanno permesso di entrare anche di più nella figura di San Vincenzo – riprendiamo il tema accennato all’inizio sulla raffigurazione di questo Santo con la Croce in mano. Dicevo che tale iconografia sicuramente si fonda dalla sua particolare devozione alla Passione di Cristo ma è legata anche a un fatto storico ben preciso. Ci testimoniano i biografi che Vincenzo, durante tutto il periodo della sua predicazione - durata 20 anni – dalla Spagna, portò sempre con se un grande crocifisso. Era una croce di legno di abete, tinta di nero, alta 1 me 95 cm e con il braccio orizzontale di circa 94 cm. Questa Croce - nel 1417 – egli stesso la donò a Santa Coletta, monaca Clarissa durante il loro storico incontro riguardo al Concilio di Costanza per la pace nella Chiesa. Ancora oggi è possibile ammirarlo nel Monastero di Sainte-Claire di Ronchamp nella Franca contea.

Per passare al tema della predicazione, tra i tanti sermoni incentrati sulla Passione di Cristo possiamo qui portarne ad esempio due in particolare. Nel primo, che è conosciuto con il titolo “La triplice gloria della croce”, il predicatore Domenicano ripercorre alcuni eventi della vita di Cristo nei quali il Signore rischiò di essere ucciso e spiega perché “a Lui non piacque alcun altro modo di moire se non in croce, sottraendosi agli altri modi con la fuga o con altri mezzi”: 1. la strage degli innocenti; 2. a Nazareth quando gli abitanti lo portano sul ciglio del monte: 3. Quando i Giudei voglio lapidarlo.

Infine Cristo incorse nel rischio di morire in croce, cioè crocifisso. Questo modo di morirgli piacque, l'accettò.  Perché questo modo di morire lo preferì a tutti gli altri? Già lo sapete, ogni male sia delle anime —come l'ignoranza, le prave inclinazioni — sia anche dei corpi — come le malattie, i travagli, le fatiche, e infine la morte — tutto deriva dal peccato di Adamo e di Eva, perché il peccato nacque dall'aver colto il frutto proibito. Cristo quindi venne a riparare tutti i mali e delle anime e dei corpi. Egli è appunto quel frutto, di cui è detto alla Vergine Maria: «Benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1,42). Questo frutto è tornato al suo albero. Perciò antiche storie greche riferiscono che l'albero della croce era ricavato dalla stessa pianta, da cui Adamo colse il frutto. Quindi quando Cristo fu su l'albero della croce, allora fu restituito all'albero il frutto, ed egli riparò tutti i mali derivati dal peccato di Adamo nel giusto ordine, prima quelli dell'anima, poi quelli del corpo. […] Ecco perché volle morire in croce”.

Il secondo è tra i sermoni più famosi anche perché tra i più lunghi come testo e come tempistica. Si tratta del sermone che Vincenzo Ferrer tenne nella città di Tolosa il Venerdì Santo 21 aprile 1416. Questo sermone fu tenuto davanti a circa 10.000 persone e durò circa sei ore. Il tono fu devoto ed emozionante. In quello stesso periodo imperversava la disputa se la Passione e la morte di Gesù Cristo fossero necessarie alla Redenzione e Salvezza degli uomini e se non ci fosse altro rimedio o soluzione. Il predicatore valenciano, quindi, partendo dalla frase del sommo sacerdote Caifa, afferma che la Passione non era indispensabile per redimere il genere umano, ma necessaria allo scopo di soddisfare pienamente la Giustizia divina e confermare le profezie.

Il sermone parte dall’ultima Cena fino alla sepoltura. croce san vincenzo   Croce di san Vincenzo FerrerMette in parallelo la Passione di Cristo con il peccato dei progenitori suddividendo il racconto il sei parti che definisce come le sei cause che con il peccato di Adamo provocarono la distruzione del mondo e dell’armonia creata da Dio: 1. La refezione corporale; 2. Il legame personale; 3. La dannazione umana; 4. La compassione sociale; 5. La morte corporale; 6. La sepoltura terrena.

Le scene vengono descritte secondo i Vangeli canonici e in particolare del racconto della Passione fatto da Giovanni. Vi si ritrovano inseti anche del Vangelo di Nicodemo e di altri autori. Spesso sono presenti inviti alla meditazione e alla contemplazione, invitando il suo uditorio al pentimento e a rivivere i dolori della Passione. Leggendo il testo del Sermone salta all’occhio che il Predicatore identifica nella stessa persona Maria di Betania - la sorella di Lazzaro - e Madia Maddalena. Oggi, dopo secoli di studi e approfondimenti, sappiamo non essere così ma all’epoca non poteva essere diversamente perché tale convinzione, in voga fino a qualche tempo fa, sappiamo essere stata generata, e da tutti seguita, da un sermone pasquale di San Gregorio Magno nel 591 ca. sulla figura della Maddalena.

Particolare spazio, nel sermone vicentino, occupa la figura della Madonna che viene presentata come una madre orgogliosa e fedele di suo figlio. Scopo di San Vincenzo è mettere in relazione le sofferenze e i patimenti del figlio con il dolore e le sofferenze della madre: “La Vergine Maria gloriosa è afflitta il giorno di oggi da un grande dolore, da profonda tristezza e da un cocente tormento, pensando al dolore del suo beneamato figlio, per questo non cominciamo con il saluto angelico abituale”.

Conclusione: “Voglia il Nostro Signore che rimanga questa Passione nei nostri cuori per infonderci virtù e capacità di comportarci in modo tale da meritarci la sua grazia e la sua gloria”. Amen.

don Ennio Grossi (fr. Luigi Maria, O.P.)
sacerdote diocesano domenicano

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