DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

La legge dentro il cuore

Nella prima grande sezione del discorso della montagna troviamo le antitesi tra la prima legge d’Israele e il compimento proposto da Gesù, che potremmo anche definire come "i sei approfondimenti" o " i sei salti di qualità", che occupano il posto centrale del vangelo di Matteo.In questa quarta domenica leggiamo le prime quattro antitesi, che trattano temi quali l'omicidio, l'adulterio, il divorzio e il giuramento. Un brano, quello che la liturgia ci propone,piuttosto ampio, riguardante norme varie, unificate da un'espressione ricorrente: "Avete inteso che fu detto agli antichi... Ma io vi dico...".

“In verità io vi dico”: vv. 18, 26
“Io vi dico infatti”: v. 20
“Ma io vi dico”: vv. 22, 28, 32, 34
“Avete inteso che fu detto” vv. 21, 27, 33.
La pericope incomincia così: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.
Se inseriamo questa frase nel suo contesto, notiamo che al versetto 17 Gesù dichiara: “Non pensate che sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”, per realizzare, per riempire, perché Gesù, come tutti i buoni giudei, non nega affatto che la legge e i profeti abbiano valore ed infatti dichiara apertamente che tutti i precetti della Torà, anche i più piccoli, sono significativi: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.

Gesù specifica che ci sono tre modi di praticare la giustizia: quella degli scribi, quella dei farisei e quella dei discepoli, dichiarando che il modo di praticarla da parte di questi ultimi deve essere superiore a quello degli ‘altri’. Vediamoli.
C’è l’osservanza degli scribi, gli intellettuali dell’epoca, i teologi, i quali avevano la pretesa di essere fedeli alla lettera della legge, ma non trovavano il cuore della legge stessa perché questi maestri cercavano all’interno dei seicentotredici precetti della Torà un punto centrale attorno al quale organizzare una sorta di gerarchia di comandamenti. Queste discussioni avvenivano tra esperti e il popolo ‘illetterato’, non esperto, aveva bisogno che lo scriba interpretasse per lui il comandamento, come conferma Giovanni nel suo vangelo mettendo in bocca ai farisei: “Questa gente che non conosce la legge" (7,49).
A che cosa serve la legge? In che modo essa dà forma alla nostra vita? Ecco la novità che porta Gesù! Propone le celebri “antitesi”che sono esempi concreti di un modo diverso, radicale, di interpretare i singoli comandamenti.

Al dovere, cioè all’“Avete inteso che fu detto” Gesù contrappone la dimensione dell'amore: “Ma io vi dico”: quindi non c’è la negazione della Legge e dei Profeti, quanto piuttosto il portare alle estreme conseguenze il senso stesso della Parola rivelata. Nelle pericopi pronunciate dal Signore scopriamo tutta la delicatezza, la forza e la potenza dell'amore che ci spinge a vivere, appunto, per amore e a sperimentare la pienezza della vita e non più l'oppressione del dovere. In altre parole, Gesù desidera che l’uomo giunga a comprendere il senso profondo della legge, intesa, quest’ultima, non come un insieme di regole da eseguire per timore di punizioni o condanne, quanto piuttosto come una esigenza d'amore che sgorga dal cuore e che conduce al desiderio di accrescere la conoscenza di Dio, di sperimentare la passione e la gelosia che Dio nutre per ogni uomo e ogni donna, e di mettere in pratica quella caritas che Egli chiede a ciascun essere umano verso il fratello e la sorella, ma anche verso lo straniero e il nemico.

La libertà che Gesù costruisce si realizza nell’amare la legge perché è nella sua legge che Dio manifesta ciò che desidera dal cristiano, recuperandone il senso originario, come dice S. Luca nel passo parallelo quando afferma: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). La misericordia è il cuore di Dio e della volontà di Dio. È il luogo in cui abita l’amore, la “rupe che mi accoglie, la cinta di riparo che mi salva” (Sal 31, 3b). La misericordia che si riveste di sacro non è la stasi del cuore, e non è neppure la separazione da ciò che è profano, ma è quel fondamento, pieno di dinamismo, che riconduce ad un centro e riporta sempre all’agàpe. Semplice e in continuo movimento, l’amore esige un discernimento costante, attento alla voce dello Spirito Santo che è capace di dar vita alla legge scritta.

Il libro del Siracide sottolinea che “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (15, 15-20). Questo significa che siamo liberi di scegliere la lettera che uccide o l’amore che salva, poiché siamo stati creati in grado di discernere e valutare, ma sappiamo bene che la sapienza con la quale Dio ci ha creato è sempre minacciata dalla nebbia della "sapienza del mondo" (cfr. 1Cor 2, 6), che il nostro io produce incessantemente. Non dobbiamo, perciò, mai stancarci di invocare la sapienza di Dio come ci suggerisce il salmista: "Aprimi gli occhi perché io consideri le meraviglie della tua legge. Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti e la custodirò sino alla fine. Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore" (Sal 118).

Sr. M. Giovanna Figini OP

Ed iniziò a mandarli a due a due per portare
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