DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Quel tempio da riscostruire in tre giorni

La terza domenica di Quaresima ci porta a riflettere partendo dal secondo capitolo del vangelo di Giovanni, caratterizzato da due episodi: il miracolo alle nozze di Cana e la purificazione del tempio.

Al versetto 4 del capitolo 2, Gesù risponde alla richiesta incalzante di sua Madre con le celebri parole: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". L’ “ora” a cui Gesù si riferisce è quella della glorificazione e del suo ritorno alla destra del Padre. Il miracolo che Egli compie a questo banchetto di nozze è come se fosse un “passaggio”: è vero che viene chiamato il primo miracolo e l’inizio della sua vita pubblica, ma in realtà è un episodio che accade quasi nel nascondimento, ad una festa di nozze appunto. E infatti annota Giovanni che solo “i suoi discepoli credettero in lui”.

La prima vera manifestazione pubblica di Gesù avviene poco dopo, nel luogo sacro per eccellenza: il tempio.

Qui, Gesù, potremmo dire che “perde il controllo”. Avviene infatti che, entrando nel Tempio all’avvicinarsi della festa di Pasqua, Egli vedesse il luogo sacro ridotto a un mercato (v. 13-14). Troviamo delle prime indicazioni utili: innanzitutto, il richiamo alla festa di Pasqua. Il vangelo di Giovanni è infatti ritmato proprio sulle feste del popolo ebraico, e la vicenda di Gesù viene incastonata tra questa Pasqua e quella che diventerà la Sua ultima Pasqua, dove instaurerà il definitivo passaggio, l’alleanza ultima tra Dio e l’umanità. 

Inoltre, Giovanni è l’unico evangelista che parla del tempio non come della “casa di preghiera” ma come della “casa del Padre”. Quindi Gesù in questo passo del vangelo si rivela come Figlio del Padre, Figlio di Dio. Quanti assistono alla scena, però, si fermano alla sua apparenza, non riescono a vedere oltre il suo aspetto esteriore e ciò che compie in quel momento: un gesto di ira. Gesù agisce come se fosse un invasato, un folle: fa una frusta di cordicelle, rovescia a terra i banchi, caccia tutti fuori. Detto in una parola: ripulisce il tempio! Fa tornare la casa del Padre un luogo di preghiera, dove ciò che conta non è il denaro o l’interesse, ma proprio il rapporto intimo con il Padre. 

Un messaggio forte, che porta a una dichiarazione ancora più profonda da parte del Signore.

Infatti, Gesù viene interrogato dai Giudei su «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» (Gv 2,18). Il segno era già stato la purificazione del tempio ma, appunto, i loro occhi erano incapaci a riconoscerlo. Cosa li avrebbe resi pronti a riconoscerlo? Il vivere nella vera attesa, che è sempre generata e nutrita dall’amore. Mentre il tempio era stato trasformato in un luogo di affari e di interessi, un luogo in cui primeggiava una legge che non era più quella donata dal Padre ma una legge ricca di precetti umani e quindi non più atta a un vero rapporto di amore e fiducia filiale. Questo acceca i loro occhi e li porterà, in seguito, a meditare su come uccidere Gesù.

Un’attesa che non è nutrita dall’amore si spegne e non vede più, resta come cieca, perde ogni speranza.

La risposta di Gesù è una interpretazione simbolica di ciò che Lui ha appena compiuto: “Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,18-21).

Il vero tempio è il Suo corpo, è l’alleanza definitiva, è l’incarnazione del comandamento nuovo. La prima lettura ci ha ricordato il decalogo, l’alleanza stipulata con Mosè sul Monte Sinai. Un’alleanza infranta più volte nel corso dei secoli e sempre ripristinata dalla fedeltà di Dio. È Lui IL Fedele di generazione in generazione, è Lui che continuamente si dona all’uomo perché “pazzo della sua creatura” (S. Caterina da Siena). In Gesù questa alleanza è portata a pieno compimento, è il segno definitivo, perché come dice Lui stesso pochi versetti più avanti: “Viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. (…) Viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così, infatti, il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità" (Gv 4,21-24). 

Non più una legge scritta su tavole di pietra, ma una legge scritta nel cuore. Un comandamento nuovo di cui Gesù stesso si è fatto esempio, si è fatto Via: l’amore. Un amore che lo ha portato “fino alla morte, una morte di croce” (Fil 2,8). Per questo la seconda lettura ci ricorda che la nostra predicazione non si fonda sul cercare segni, come i Giudei, o sapienza, come i greci, ma solo sul crocifisso (cfr 1Cor 1,22-25). La croce vista come potenza di Dio perché, proprio attraverso di essa, ci viene aperto il passaggio al Cielo. 

E infatti questa è la testimonianza che ci viene data dai suoi discepoli: “Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù” (Gv 2,23). 

Si ricordarono”: quanto è importante non vivere superficialmente ma custodire nel cuore! I discepoli compresero il segno della purificazione del tempio solo dopo la morte e resurrezione di Gesù. Compresero come Lui è il vero e unico segno, la Parola definitiva del Padre, l’Alleanza eterna, Colui che ci ha redenti e che attende solo che lo sguardo del nostro cuore si rivolga a Lui, a Lui che già ci ama di amore eterno.

Riassumendo, in questo vangelo possiamo trovare, tra i tanti, queste tre parole, questi tre spunti che possono aiutare il mio cammino quaresimale:

  • Sguardo: quanto mi fermo all’apparenza degli eventi, delle persone, e quanto invece riesco a vedere oltre, in profondità?
  • Attesa: so attendere oppure lascio che la vita accada senza viverla veramente e pienamente? 
  • Ricordare: so custodire nel cuore?

Camminando verso la Pasqua, recuperiamo la consapevolezza di essere, nel Figlio, figli amati, da sempre e per sempre, perché “santo è il tempio di Dio, che siete voi” (1Cor 3,16).

 

Sr M. Paola Diana Gobbo op

 

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