DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Predicate!

"Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo". (Mc 16,15) Questa esortazione del Signore che Marco pone nel capitolo del suo Vangelo che narra la Resurrezione di Cristo può ben riassumere le letture che la liturgia pone alla III Domenica di Pasqua e l'indissolubile rapporto tra predicazione e mistero pasquale.

In questa Domenica infatti viene presentato il tema della predicazione declinato nei suoi tre aspetti: come predicare, cosa predicare e le fonti della predicazione. Tema squisitamente domenicano che bene si offre alla riflessione di un pubblico più vasto in forza di quel munus profetico che accomuna tutti i battezzati.

La prima lettura, tratta come consueto nel tempo di Pasqua dagli Atti degli Apostoli, parla della Pasqua della Chiesa, del giorno di Pentecoste, in cui gli Apostoli, qui chiaramente rappresentati da Pietro, Principe e Pietra, mossi dallo Spirito predicano la vittoria di Cristo sulla morte con franchezza (parrhesia). La seconda lettura, sempre tratta dalla predicazione dell'apostolo Pietro, pone l'accento sul sacrificio di Cristo e sul suo sangue salutare. Queste due letture rappresentano un gruppo coeso capace di rispondere al come ed al cosa della predicazione.

Spinti dallo Spirito, gli Apostoli parlano con franchezza. Il termine greco, parrhesia, indica il dire tutto liberamente ma anche, per estensione, il dire abbondante, più del dovuto. L'azione dello Spirito fa essere franchi ma non inopportuni, poiché Egli suggerisce le parole da dire (cfr. Lc 12,12), le giuste parole che fanno essere il dire sì, sì e no, no (cfr. Mt 5,37). La vera franchezza viene dunque dallo Spirito che preserva dalla vanagloria ed il predicatore è sempre alla scuola dello Spirito.

La prima e la seconda lettura mettono in luce cosa bisogna predicare, il kerygma: Cristo è risorto! I fratelli orientali, a Pasqua, si salutano con Christos anesti! Il Cristo si è sollevato, è in piedi (cfr. Ap 5,6). E con Lui, capo, tutti noi, membra, siamo risollevati e siamo in piedi. Quanta tristezza viene da quella predicazione moralistica che mette pesi sui fratelli, spesso inconsapevolmente, negando di fatto quella dimensione di risorti che Cristo ci ha donato a prezzo di tutto il suo sangue, agnello svenato, scrive Caterina da Siena, perché noi potessimo essere non più servi ma amici (cfr. Gv 15,15) affinché la nostra gioia potesse essere piena (cfr. Gv 15,11). Nel predicare, e tutti, non solo noi domenicani, nella franchezza, non togliamo la gioia ai fratelli, poiché la nostra gioia è Cristo! Togliere la gioia significa togliere Cristo.

Infine il Vangelo è un piccolo capolavoro letterario, nella sua semplicità: nel brano lucano presentato si narra la nota vicenda dei discepoli di Emmaus che vanno verso la campagna, lontano da Gerusalemme, la sera del terzo giorno. Il brano è occupato per metà dal racconto triste e disperante dei discepoli, e la seconda metà da un narratore esterno e dalle poche parole dello sconosciuto viandante che si rivelerà nello spezzare il pane quale il Cristo risorto che incontra le nostre sconfitte e le trasforma in vittoria: poche parole, fonte della predicazione, poste al cuore del brano che trasformano il cuore triste dei suoi amici abilitandoli a predicare, come conferma il narratore esterno alla chiusa della pericope.

Per quanto lontani da Gerusalemme e per quanto ampio il senso di fallimento, Cristo buon pastore ci cerca non per il rimprovero ma per la missione, per essere suoi profeti, membra vive, membra risorte.

Graziano G. Curri, OP
Laico Domenicano
Fraternita "San Domenico", S. Maria sopra Minerva

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