DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Per una corretta integrazione

In poche righe e a partire dalla Sacra Scrittura, affrontiamo i concetti di fratellanza e di prossimo, analizzandoli nella loro evoluzione storica e traendone un comune denominatore indispensabile al fine di realizzare una integrazione del "diverso" da noi, tanto necessaria ai nostri giorni, mantenendo e anzi rafforzando uno dei pilastri della nostra vita di fede: l'amore per il prossimo.

Nel mondo greco antico il termine qui traslitterato con adelphòs = fratello, significava letteralmente “nato dal medesimo seno materno”. Indicava principalmente un fratello o una sorella carnali. Venne però utilizzato anche  per esprimere un concetto più generale di parentela, o di vicinanza a qualcuno, di appartenente ad uno stesso insieme di persone che vive in armonia, di iniziati ad un determinato culto. Il termine adelphòs divenne praticamente equivalente ad un secondo termine plesìon= prossimo.

Nell'Antico Testamento fratello viene utilizzato per indicare i connazionali israeliti. E questo trova spiegazione nel fatto che i figli di Giacobbe sono padri delle 12 tribù di Israele, quindi l'essere connazionali ha pressappoco lo stesso valore di essere fratelli di sangue. Sempre nell'Antico Testamento tale termine, che trascina con sé necessariamente il concetto di figliolanza, è utilizzato anche per descrivere il rapporto tra Jahvé col suo popolo, portandoci a considerare la dimensione spirituale della figliolanza con Dio e conseguentemente della fratellanza con tutti gli altri uomini. Fino a questo punto insomma, il termine fratello era accostato al termine prossimo con una comunanza quasi piena di significato.

Col giudaismo rabbinico invece, succede che il concetto di fratellanza inizia a separarsi da quello di prossimo individuando il primo il rapporto che intercorre tra abitanti di uno stesso paese e che condividono la fede per lo stesso Dio mentre con il secondo ci si riferisce a qualsiasi persona abiti all'interno dello stesso paese, ma no della stessa fede. É questo il tessuto sociale in cui Gesù è nato e cresciuto. Un mondo cioè dove si viveva la distinzione tra giudeo e pagano, tra chi si sarebbe certamente salvato e chi non aveva nessuna possibilità, tra chi era meritevole di sostegno ed aiuto e chi si poteva semplicemente ignorare. Questo è il mondo che Gesù, principio della nostra fede cristiana, si è impegnato a cambiare.

In Mc 3, 33-35 troviamo uno dei tanti  suoi tentativi, di farci riscoprire il senso di fratellanza:

Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».

domenico sprecacenerefr. Domenico Sprecacenere, O.P.Quindi la condizione per potersi considerare fratelli di Gesù , suoi famigliari, è quella di essere suoi "auditori" e compiere ciò che il Padre, attraverso il Figlio ci comunica, insomma essere cristiani.   Leggendo invece la parabola del buon samaritano, possiamo facilmente comprendere chi è, secondo il punto di vista di Gesù, il nostro prossimo (Lc 10,29-37):

«E chi è il mio prossimo?»... «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».

Qui ci torna immediatamente alla mente il comandamento dell'amore (Mt 22,39): "Ama il tuo prossimo come te stesso". Insomma, è nostro prossimo chiunque si trovi nella situazione di bisogno, di miseria, e questa volta, ad unirci a loro, non è la condivisione della stessa fede, o l'appartenenza alla stessa regione, o tribù (vedesi l'atteggiamento del sacerdote o del levita), bensì il sentimento viscerale della compassione frutto dell'amore, che ad imitazione dello stesso Gesù, siamo chiamati a provare nei confronti del prossimo.

San Tommaso d'Aquino così descrive il misericordioso o compassionevole (in quanto equivalenti) (ST, I pars, Q.21, art.3): "si dice colui che ha in certo qual modo un cuore misero, nel senso che alla vista delle altrui miserie è preso da tristezza come se si trattasse della sua propria miseria".

La novità apportata da Gesù nella sua società, duemila anni fa, e che è tuttora valida è proprio questa: la compassione o misericordia nato dall'amore per il prossimo, indistintamente, che costituisce quel ponte che ci permette di oltrepassare l'enorme ed obbiettivo divario che c'è tra la nostra fede, la nostra cultura e qualunque altra, progredendo nella direzione di una integrazione che non è sinonimo di annacquamento del nostro credo, bensì, come anticipavamo, è riscoperta della nostra identità cristiana, l'amore per il prossimo.

fr. Domenico Sprecacenere, O.P.

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