DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Un uomo di Dio nella città degli uomini

In ricordo di p. Cipriano Ricotti, o.p, tra documenti d’archivio e ricordi personali.

Era il 4 gennaio del 1989. Era di pomeriggio e nella comunità di San Marco cominciava a serpeggiare una certa inquietudine. Il Priore, P. Cipriano Ricotti, non si era visto durante tutto il giorno, lui così puntuale e presente agli atti comuni.

Si cercò di stornare qualche funesto pensiero, che già si insinuava nella testa di qualcuno, pensando ad uno dei tanti impegni apostolici che lo avevano portato e trattenuto fuori convento anche se appariva strano che nessuno ne sapesse niente. Spinto dall’allora Provinciale P. Lorenzo Fatichi mi diressi verso l’uscio della sua stanza. Bussai, chiamai a gran voce, ribussai. Nessuna risposta. Ormai non c’era altro da fare che sfondare la porta. Con qualche energico colpo l’uscio si aprì. Entrai e mi si presentò agli occhi ciò che ormai tutti temevamo: P. Cipriano giaceva supino sul letto, composto e con una espressione serena sul volto. Tornai alla porta e detti la dolorosa notizia anche agli altri che erano rimasti sulla soglia. Entrarono costernati e affranti. Si recitarono le preghiere di rito e poi si dovette organizzare tutto ciò che è di prammatica. La notizia si diffuse in un batter d’occhio per tutta Firenze e anche al di fuori della città. Piovvero telegrammi da ogni dove. Il telefono del convento squillava in continuazione per ricevere le espressioni di cordoglio da ogni parte. Ricordo che una telefonata di particolare rilievo la presi proprio io: era il marchese Roberto Ridolfi, noto scrittore, autore di una importantissima ed eccellente vita di Girolamo Savonarola, amico e figlio spirituale di P. Cipriano che esprimeva la sua disperazione per aver perso il confidente e la guida della sua anima.

Le esequie solenni furono presiedute dal Card. Silvano Piovanelli Arcivescovo di Firenze e amico da vecchia data di P. Cipriano.

L’omelia fu tenuta da P. Giacinto D’Urso che conosceva P. Cipriano da quando quest’ultimo era entrato collegiale a San Domenico di Fiesole. Era il giorno dell’Epifania e P. D’Urso costruì tutta l’omelia sulla simbologia della stella che ha guidato i Magi e quindi della luce che P. Cipriano ha irradiato dovunque è vissuto con la sua vita integerrima e la sua indefessa attività apostolica.

La basilica di San Marco era gremita all’inverosimile a dimostrazione che era un’intera città che piangeva con il cuore gonfio di commozione e di affetto la scomparsa di un fratello e di un padre amatissimo.

Fu inumato nel cimitero attiguo alla chiesa di San Domenico di Fiesole concludendo così la sua vita terrena nello stesso luogo che lo aveva visto muovere i primi passi nella vita religiosa domenicana.

Chi era P. Cipriano Ricotti, questo frate che ha meritato esequie così solenni e attestazioni di stima così numerose e sentite?

Adimaro (questo il nome di battesimo) Ricotti nacque il 22 novembre del 1916 a Vignole, frazione della cittadina di Quarrata (un tempo Tizzana) nella provincia di Pistoia, dove questa confina con quella di Firenze. La mamma, che P. Cipriano ha sempre ricordato con grande affetto, era donna molto religiosa e ha istillato nel figlio un senso religioso profondo e solido. All’età di dodici anni Adimaro entra nel Collegio di Sant’Antonino presso il Convento di San Domenico di Fiesole e inizia gli studi ginnasiali. A sedici anni, nel 1934, emette la professione semplice. In un’occasione raccontò come non appena gli fu comunicato che era stato ammesso alla professione, tale e tanta fu la gioia che per esprimere il suo stato d’animo fece correndo tutto il giro dell’ampio podere attiguo al convento. Nel ‘34 frequenta il 1° anno di filosofia. Nel ‘37 emette i voti solenni e inizia gli studi di Teologia. Nel ‘38 viene ordinato diacono e il 23 luglio del 1939 è ordinato sacerdote. Finito il periodo di formazione P. Cipriano si dedica fin da subito all’attività apostolica: insegna religione nelle scuole, va a fare il catechismo nella periferia fiorentina che scherzosamente chiama la sua “Papuasia”. Fedele all’ideale domenicano di cui è stato sempre testimone fedele e speciale, nonché zelante propugnatore, accanto all’attività di predicazione ed evangelizzazione, porta avanti l’impegno nello studio. Per tal motivo si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università Statale di Firenze (1944) conseguendo, dopo il normale ciclo accademico, la laurea in Lettere. Per le sue doti di equilibrio e di grande umanità più volte ricoprì il ruolo di Priore o Superiore nei vari conventi in cui è vissuto: San Marco in Firenze, San Domenico di Fiesole, Santa Maria Maddalena a Caldine.

Per molti anni svolse il compito di Direttore della fraternita del Terz’Ordine di San Marco. In questa attività mostrò una capacità fuori del comune fino a far diventare in breve tempo tale fraternita la più numerosa di Italia. Proprio per far conoscere meglio il carisma domenicano ed entusiasmare i giovani alla spiritualità dei Frati Predicatori dette vita alla rivista Domenicani. Anche in questa attività si segnalò particolarmente rendendo la rivista alquanto vivace e ricca e incrementando enormemente il numero egli abbonati.

Il grande amico vicino a tutti

Tutti coloro che l’hanno conosciuto e l’hanno avvicinato con rapporti più o meno stretti, tutti concordano nell’attestare come P. Cipriano sapesse stabilire con tutti relazioni di profonda e sincera amicizia. Amabilità, cordialità, affabilità erano le note che contraddistinguevano il suo carattere socievole e gioviale che gli consentì di intessere una rete straordinaria di relazioni amichevoli. Le parole di S. Paolo La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. (Fil 4,5) e Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno (1Cor 9,22) trovavano in lui la piena e incontestabile attuazione. Del resto questa particolare propensione all’amicizia si era manifestata già fin dai primi anni della formazione all’interno della stessa comunità formativa. Era infatti proverbiale il sodalizio che avevano stabilito i tre giovani frati Fr. Antonio Lupi, fr. Serafino Taddei e fr. Cipriano Ricotti. A tal punto si erano legati di amicizia che avevano coniato un nome che li riuniva tutti e tre come in un’unica persona: «Sertonci» ( Serafino, Tonio e Cipriano)

Nel sottolineare queste sue qualità non bisogna però dimenticare come P. Cipriano nel rapportarsi amichevolmente e simpaticamente con tutti non ha mai dimenticato la sua identità di sacerdote e di apostolo. Mentre non mancava mai di mostrare la sua vicinanza di amico e di fratello, non nascondeva mai il suo impegno di religioso e di sacerdote. Ciò che tutti i testimoni delle virtù e delle doti di P. Cipriano attestano con una certa ammirazione è la sua capacità di essere amico e compagno anche di feste e di svaghi con i giovani e gli studenti universitari, e nello stesso tempo sacerdote capace sempre di elevarsi ed elevare le anime ai valori più alti della morale e della spiritualità. Un aspetto singolare della sua personalità era proprio la capacità di essere al contempo gioviale, a volte perfino faceto, e nello stesso tempo serio e profondo. Questa particolarità non va disgiunta da un altro aspetto fondamentale della relazionalità di P. Cipriano: l’universalità, la capacità cioè di non fare distinzioni e preferenze di persone in base al censo, alla posizione sociale e al livello culturale. Era amico delle famiglie più povere e delle più altolocate. Essendo stato parroco a San Domenico di Fiesole, poiché il territorio della parrocchia abbraccia gran parte della stupenda collina fiesolana, sede di molte ville patrizie, P. Cipriano si trovò a trattare con molte persone di alto lignaggio tra cui la famiglia dei Duchi d’Aosta, in particolare con Amedeo d’Aosta che non soltanto preparò alla prima comunione e alla cresima, ma ne benedì anche le nozze e con il quale aveva un tale rapporto di familiarità e confidenza da rivolgersi a lui con il diminutivo “Deo”. fausto sbaffoni   fr. Fausto Sbaffoni, O.P.Questa frequentazione degli ambienti aristocratici gli meritò immeritatamente il titolo ironico di “Padre dei nobili”. Ma la cosa è completamente falsa. Difatti P. Cipriano non ha mai allontanato dalla sua cerchia i poveri, i diseredati, i bisognosi o le famiglie modeste e di scarso peso sociale. Era l’amico e il padre di tutti. D’altra parte come avrebbe potuto essere amico di Giorgio La Pira e di P. Antonio Lupi un religioso che avesse fatto preferenza di persone privilegiando in modo esclusivo soltanto i ricchi e i potenti di questo mondo e disprezzando i poveri egli umili della terra.?

Dopo la morte ebbi l’incarico di ordinare le sue carte. Era impressionate vedere il numero di foto in cui P. Cipriano appariva insieme agli sposi che aveva unito in matrimonio. Ma la cosa notevole è che non si limitava a celebrare il rito, ma poi queste coppie e quindi queste famiglie continuava a seguirle condividendone le gioie e i dolori avendo sempre una parola di edificazione e di consolazione per tutti.

Aveva perciò costituito un’associazione delle famiglie con cui era in contatto e si riunivano periodicamente.

Uomo di preghiera

Questa attività infaticabile, e qui si rivela di nuovo la specificità domenicana, non impedì a p. Cipriano di dedicarsi assiduamente alla preghiera. Si alzava molto presto la mattina e prima di scendere in coro dedicava quelle prime ore del giorno alla preghiera personale. Era una preghiera intensa e soprattutto, ad imitazione di san Domenico, portava nel suo cuore tutte le istanze e le necessità di quanti conosceva e si affidavano alla sua preghiera.

P. Cipriano e Giorgio La Pira

Tra le amicizie che P. Cipriano ebbe e coltivò nella sua vita spicca sicuramente quella con Giorgio La Pira, Professore di Diritto Romano, membro della Costituente, Parlamentare e Sindaco di Firenze, di cui è in corso la causa di Beatificazione. L’amicizia nacque sicuramente nel convento di San Marco dove La Pira visse per circa dieci anni condividendo la vita dei frati. Fu un’amicizia favorita dal comune sentire sia in ambito teologico - spirituale sia in ambito apostolico e sociale. Un’amicizia che si espresse significativamente durante tutta la vita del Professore con tanti momenti di collaborazione e di condivisione e si manifestò in modo inequivocabile nei momenti più difficili. Quando nel 1943, ricercato dalla polizia, La Pira si ritirò a Fonterutoli, nel Chianti, presso la tenuta della famiglia Mazzei, fu P. Cipriano a precipitarsi in quel rifugio per avvisarlo che pendeva su di lui una taglia e la sua vita era in pericolo e doveva cercare un altro ricetto. Fu sempre P. Cipriano a stare accanto a La Pira morente e ad accompagnarlo nel trapasso e quando spirò il Professore stringeva nella sua la mano dell’amico domenicano di San Marco.

Con la morte di Giorgio La Pira la relazione di P. Cipriano con quest’ultimo non cessò. P. Cipriano fu infatti l’ispiratore, animatore e uno dei soci fondatori della «Fondazione La Pira», tutt’ora esistente a tener viva la memoria e diffondere il messaggio spirituale e sociale di La Pira.

Ebbe poi un ruolo di primo piano nella questione spinosa della sepoltura di La Pira. Infatti quando nel 1977 La Pira morì, i suoi fratelli richiesero, a norma di legge, di poter avere il suo corpo per seppellirlo a Pozzallo sua città natale. Ma La Pira aveva più volte manifestato la volontà di esser seppellito nel cimitero fiorentino di Rifredi, accanto alla tomba di Don Giulio Facibeni, sacerdote fondatore dell’Opera “Madonnina del Grappa” per gli orfani di guerra, del quale è in corso la causa di beatificazione. Non c’era però nessun documento scritto che attestasse tale volontà. D’altra parte, anche nel momento in cui si voleva adire a vie legali per richiedere che il desiderio di La Pira fosse rispettato, mancava la legittimazione all’azione: non si vedeva a tutta prima chi avesse il diritto di agire per far valere le istanze di quanti volevano che le insigni spoglie di La Pira restassero a Firenze. Furono vissuti momenti drammatici e in tale frangente svolse un ruolo fondamentale proprio P. Cipriano. Infatti La Pira aveva dichiarato nel testamento che il Convento di San Marco fosse l’erede universale di tutti i suoi beni, i quali non consistevano tanto in valori economici, ma piuttosto nel prezioso lascito di libri, molti dei quali dedicati dai personaggi insigni che egli aveva conosciuto e incontrato nella sua movimentata vita di politico e uomo di cultura e in una fittissima corrispondenza. Si pensò allora di prospettare la tesi che essere eredi non significa soltanto entrare in possesso dei beni materiali che il defunto lascia, ma subentrare nella sua personalità e dunque farsi carico e portavoce della sua volontà laddove tale volontà si potesse provare anche su basi diverse dai documenti scritti. Fu P. Cipriano ad ingaggiare su questi fondamenti la battaglia e portarla avanti con coraggio e fermezza raccogliendo le testimonianze di un’ingente schiera di persone, molte delle quali particolarmente autorevoli, pronte a deporre come avessero raccolto dalla viva voce di La Pira la sua volontà di riposare accanto a don Facibeni. Alla fine, grazie alla fede e alla tenacia di P. Cipriano le spoglie di La Pira potettero restare a Firenze, nel cimitero di Rifredi da cui furono successivamente traslate nella basilica di San Marco, presso quel convento in cui aveva vissuto e presso quella cella che riteneva la sua sola dimora terrena.

Padre Cipriano e la protezione degli ebrei durante la Shoà

In quel «Giardino dei Giusti» che sorge a Gerusalemme per ricordare tutte quelle persone non ebree che in tutto il mondo si sono prodigate per salvare la vita agli ebrei perseguitati, c’è un albero e una targa che ricordano P. Cipriano Ricotti. L’albero lo piantò lui stesso quando dopo che il 10 dicembre del 1972 fu dichiarato “Giusto tra le nazioni” dalla commissione incaricata, fu invitato dalle autorità israeliane a partecipare alla cerimonia prevista per chi riceveva tale titolo, che prevedeva l’assegnazione di una medaglia e il conferimento di un diploma d'onore e dava diritto a piantare un albero lungo il viale dei Giusti, per ricordo imperituro di quanto aveva operato durante la seconda guerra mondiale, nei giorni drammatici della persecuzione antigiudaica. In verità P. Cipriano fu un elemento importante in quella rete di aiuto e protezione agli ebrei perseguitati che fu voluta a Firenze dal Card. Elia dalla Costa. Quest’ultimo istituì in Firenze nel 1943 un comitato, di cui facevano parte don Leto Casini, padre Cipriano Ricotti, il rabbino Natan Cassuto ed altri, con il compito di accogliere e nascondere gli ebrei per salvarli dalla persecuzione. È P. Cipriano stesso a parlarcene ricordando quegli eventi:

«Ricordo di essere stato convocato nell'ufficio dell'Arcivescovo. Era il 20 Settembre 1943. Mi sono presentato, accompagnato dal Superiore Provinciale, padre Raffaele Cai. L'Arcivescovo mi ha chiesto se potevo dedicarmi ad aiutare e assistere gli ebrei. Subito mi ha dato una lettera di presentazione, in modo che avessi l'autorità per rivolgermi ai monasteri – molti dei quali non avrebbero potuto aprire le loro porte, se non avessi avuto la lettera dell’Arcivescovo in mio possesso – in modo da trovare un riparo per le persone perseguitate».

P. Cipriano Ricotti era stato a sua volta contattato da Matilde Cassin, collaboratrice di Raffaele Cantoni e poi del rabbino capo di Firenze Nathan Cassuto, su suggerimento del professor La Pira, al quale la Cassin si era rivolta in cerca di aiuto per i profughi. Nacque così una sorta di comitato di soccorso clandestino che contava tra i propri membri oltre ai summenzionati le sorelle Lascar e Josef Ziegler. È nota inoltre la partecipazione non secondaria del grande campione del ciclismo Gino Bartali che con la sua bici, motivando davanti alle autorità i suoi spostamenti come normale allenamento, faceva da staffetta portando da una parte all’altra, nascosti nel telaio della sua bicicletta preziosi documenti. Il comitato fiorentino fu, di fatto, l’espressione locale dell’organizzazione di soccorso nazionale ebraica clandestina “DELASEM”. (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei). Si trattava di reperire ricoveri e alloggi presso conventi e istituti della diocesi. E in verità lavorando febbrilmente in pochissimo tempo il suddetto comitato riuscì a trovare una ventina di istituti religiosi che nel complesso ospitarono centinaia di persone. L’assistenza fu prestata soprattutto in favore di coloro che scendevano lungo la costa italiana in fuga dalla Francia meridionale, attraversando a piedi le Alpi Marittime per riversarsi nelle confinanti valli italiane. Il comitato clandestino si riuniva a Firenze per prendere contatto con i profughi che talvolta P. Cipriano andava personalmente ad accogliere alla stazione e successivamente smistava in case private e in conventi. Un’attività del genere non era esente da rischi, anzi chi svolgeva questo prezioso e meritorio compito era sempre in pericolo di vita. Tra i ricordi che conservo di P. Cipriano resta in modo indelebile quanto raccontò lui stesso, durante una lezione di spiritualità domenicana tenuta al gruppo dei novizi di cui facevo allora parte: «Un giorno, mentre uscivo di convento per svolgere l’attività in favore degli ebrei perseguitati, venni fermato da un uomo che con tono minaccioso mi disse: “Padre, sappiamo tutto. Se continua in tale attività Lei verrà perseguito e daremo fuoco al convento”. Io rimasi naturalmente molto scosso e non fu tanto la paura di perdere la vita che mi assillò nei giorni successivi, ma il pensiero che fosse davvero distrutto il convento di San Marco e subissero angherie i miei confratelli».

In queste parole è racchiusa la personalità di P. Cipriano: un domenicano a tutto tondo, un religioso pieno di zelo, preoccupato per il bene degli altri, vicino a tutti coloro che nel bisogno si rivolgevano a lui, pieno di coraggio e di fervore apostolico, generoso e affabile. In una parola: un uomo di Dio nella città degli uomini.

Fausto Sbaffoni, o.p.

 

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