DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Il pellicano: un simbolo dell’eucarestia

I. Il simbolo cristiano
all’inizio della sua evoluzione

Da alcuni mesi vivo nel Convento di San Domenico di Fiesole, convento famoso perché dal 1420 circa al 1437 vi dimorò il Beato Angelico. La mattina, quando scendo per le Laudi nella chiesa, seduto su una panca mi piace soffermarmi, prima della preghiera comune, a contemplare l’imponente cimasa dorata che sovrasta l’altare. Quante figure e quanti simboli!

Alle due estremità due statue di angeli oranti fanno da guardia al tabernacolo su cui, tra quattro figure di santi Domenicani (Domenico, Tommaso, Antonino vescovo di Firenze e Pietro Martire) al centro campeggia il calice dell’Eucarestia simbolo di Cristo; al di sopra, all’interno di una semicupola, un altorilievo del Padre sormontato dalla Colomba dello Spirito Santo: la Trinità. Infine a coronare l’altare, la figura di un imponente uccello con le ali aperte e con il becco ripiegato verso i suoi piccoli si staglia contro la cupola bianca volutamente priva di affreschi. Nella penombra l’oro ugualmente rifulge e sotto i raggi del sole, che in alcune stagioni penetra da un’alta finestra, si accende di luce. Quell’uccello non è tanto uno dei numerosi simboli che hanno figurato Cristo, ma è forse, insieme all’agnello, il più significativo e commovente: il pellicano.

Il pellicano europeo, che è entrato nella simbologia cristiana come emblema di Gesù Cristo, è quello che i greci chiamavano ‘pélekos’ da pelecus ‘ascia’ con riferimento alla forma smisurata del becco ed anche ‘onocròtalos’, perché trovavano strano (krotos) il suo grido che rassomigliava, dicevano, al raglio dell’asino (onos). Il pellicano vive nell’Europa orientale, nell’Asia sud occidentale e nel nord dell’Africa. È un uccello maestoso, dotato di un lunghissimo e largo becco. Spesso le sue piume sono tinte di rosso per il sangue delle prede e questo particolare ha probabilmente diffuso la credenza che si lacerasse il corpo pur di conservare in vita i piccoli. Un’antica leggenda, infatti, originata forse dall’atto con cui il pellicano curva sul petto il becco per estrarne più comodamente cibo per la nidiata, fa riferimento alla vicenda dei piccoli che colpiscono gli occhi del padre il quale, adirato, prima li uccide, ma poi pentito e addolorato per la loro morte, dopo tre giorni li fa ritornare in vita grazie al sacrificio di sé; squarciandosi il petto li inonda del suo sangue riportandoli così alla vita. [È considerato perciò simbolo dell’amore paterno o materno, varianti molto antiche ambedue per il pellicano che sacrifica se stesso come già troviamo su un anello di bronzo di Akmin/Panopolis in Egitto. Cfr. Gerd Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana, Milano I.P.L. 1984, p. 279].

Vissuto circa nel II sec. d. C. ad Alessandria d’Egitto, l’autore cristiano del Physiologus, specie di manuale didattico cristiano, che ebbe una straordinaria diffusione per circa undici secoli, riporta la leggenda del pellicano che fa ritornare in vita i suoi piccoli; e già nel secolo seguente troviamo a Cartagine la sua immagine riferita al Redentore come ornamento di lampade votive. [Per il simbolismo del pellicano inerente a Gesù Cristo, v. Louis Charbonneau-Lassay, Le Bestiaire du Christ, Albin Michel 2006, pp. 558-568 (I ed. Bruges 1940). Il Physiologus, che contiene citazioni bibliche, leggende popolari e informazioni varie derivanti da naturalisti antichi, come Plinio, presenta animali la cui “natura” (come dice Pierre de Beauvais nell’introduzione alla sua opera, uno dei primi bestiari francesi) offre il pretesto per interpretazioni simboliche, solitamente mistico-teologiche o morali ed ebbe una straordinaria diffusione sia in Occidente (nella versione latina) che in Oriente. Il termine stesso, fisiologo, non aveva il significato di naturalista, ma era un mezzo, come si legge nella rubrica iniziale, per indicare, attraverso la natura degli animali “l’economia terrena del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo”. Arricchito dalle opere di Isidoro di Siviglia (dalle Etymologiae a quelle di carattere mistico come il suo De natura rerum) o dal Liber de natura bestiarum attribuito a Giovanni Crisostomo, per citare solo quelle più importanti, divenne la fonte principale dei Bestiari medievali].

II. Sant’Agostino e il Salmo 101

Il simbolismo cristiano vide nei piccoli morti il genere umano morto per il peccato alla vita spirituale e il sangue che il pellicano sparge è il sangue che Cristo dalla croce effonde purificando dal peccato tutti gli uomini. [L’interpretazione simbolica si fondava su un versetto dei Salmi: “Similis factus sum pelicano solitudinis” (101,7) compreso come se il suo autore parlasse profeticamente in persona di Gesù Cristo; si trova, in pieno Medioevo per esempio, su una delle vetrate della cattedrale di Bourges]. Già Melitone di Sardi nella sua Clavis scripturae in lingua Latina precisa che il pellicano era simbolo di Gesù Cristo. [Vescovo di Sardi in Lidia - muore verso il 190 d.C. - ai tempi di Antonino Pio e Marco Aurelio scrisse un’importante omelia sulla Passione; si ha notizia di un’Apologia oggi, perduta, sul cristianesimo che dedicò a Marco Aurelio. Pochi frammenti e titoli restano delle sue opere].maxim dsilva 2    fr. Maxim D'Sylva, O.P. Agostino nel suo commento al salmo 101, vv. 7-8 (“Sono diventato come un pellicano del deserto / sono simile a un gufo tra le macerie/ [...] sono diventato come un passero che se ne sta tutto solo sul tetto[Qui, unico luogo delle Sacre Scritture in cui si faccia riferimento al pellicano, il salmista prende a simbolo della sua solitudine dolorosa quella del pellicano e di due altri uccelli “solitari”], che tenne ad Ippona nel 395 durante il periodo pasquale, riferisce come ipotesi, da accettare però con cautela, la leggenda tramandata: “Né da parte nostra, dobbiamo tacere quel che si racconta ed anche si legge dell’uccello chiamato pellicano [È interessante che questo riferimento sia a una tradizione orale che a una ormai vulgata tradizione scritta]; pur evitando affermazioni temerarie non dobbiamo però tacere quel che ne han voluto che si leggesse e si raccontasse quanti hanno scritto di lui. Da parte nostra ascoltate la spiegazione in maniera da considerarla ben appropriata, se è vera, e da ritenerla senza alcun valore se è falsa”. Agostino racconta quindi la leggenda nei termini ormai conosciuti e aggiunge: “può darsi che tutto questo sia vero come può darsi che sia falso; tuttavia se è vero, voi vedete come si adatta in maniera appropriata a colui che con il suo sangue ci ha ridato la vita”. E aggiunge: “Questo uccello pertanto, se è vero il relativo racconto, presenta una grande somiglianza con la carne di Cristo, per il cui sangue abbiamo ricevuto la vita.” [Sant’Agostino, Opere-Esposizioni sui salmi, III, a cura di Tommaso Mariucci, Vincenzo Tarulli, Roma, Città Nuova Editrice 1976, pp. 525-27]. Agostino, proponendo la leggenda, stabilisce chiaramente un parallelo tra Cristo e il pellicano, parallelo fortunato perché sarà ripreso dalla teologia seguente.

III. L'interpretazione del Medioevo cristiano

Questa analogia si trova pressappoco in tutti i Bestiari medievali che si diffusero ampiamente nel secolo XII, derivati dalle numerose traduzioni che quasi subito si fecero del Physiologus, attraverso soprattutto le Etymologiae di Isidoro, opere che aiutavano i lettori a comprendere il significato recondito che si trovava nel mondo animale, specchio, come quello inanimato, di verità spirituali o di insegnamenti morali. L’universo appariva all’uomo antico come un enorme repertorio di simboli e di continua manifestazione di Dio. È un libro sacro che Dio ha scritto, dice Ugo di San Vittore (Universus mundus iste sensibilis quasi quidam liber est scriptus digito Dei) all’atto della creazione, nel bestiario dal titolo De bestiis et aliis rebus a lui attribuito. [Vedi, a questo proposito le pagg. XIII e segg. della Introduzione ai Bestiari Medievali a cura di Luigina Morini, Milano Einaudi,1987].

Secondo Sugeri, abate di Saint Denis “ il nostro spirito limitato non può impadronirsi della verità che per mezzo di rappresentazioni materiali” [Sulla definizione di simbolo nel Medioevo vedi Marie-Madelaine Davy, Initiation à la symbolique romane, Paris, Flammarion,1992]. “Del resto, ciò che importa per l’uomo -come sottolinea Agostino- è mettere in pratica il significato di un’immagine, senza affaticarsi a indagare la veridicità”. [Bestiari Medievali, p. X]. Ad esemplificazione del modulo interpretativo caratteristico dei Bestiari che tanto influirono sulla vita spirituale del medioevo, riportiamo la parte conclusiva riguardante il pellicano di uno dei più importanti bestiari, il Bestiaire di Philippe de Thaün [Philippe, appartenente a una famiglia originaria di Taon vicino Caen, visse in Normandia durante il regno di Enrico I d’Inghilterra. È autore, nella prima metà del secolo XII, oltre che del Bestiaire (composto tra il 1121 e il 1135) primo bestiario in volgare romanzo, del Livre des créatures, poema didattico e due Lapidaire . Cfr. Bestiari Medievali, cit., pp. 235-236]: Questo uccello significa / Il figlio di Maria, / e noi siamo i suoi piccoli / in sembianza di uomini; ci siamo rialzati, / siamo risuscitati dalla morte / grazie al sangue prezioso / che Dio versò per noi, come fanno gli uccelli / che per tre giorni restano morti. / Ora udite secondo autorità Cosa significa questo, / perché l’uccellino / becca l’occhio al padre / e il padre è afflitto / quando li uccide in quel modo: / chi nega la verità / vuole trafiggere l’occhio di Dio, / e Dio di tali uomini si vendicherà. Tenetelo a mente, / questo è il significato.

IV. San Tommaso D’Aquino e il pellicano

Così come la leggevano nei Bestiari, hanno accolto la leggenda tanti predicatori e tanti mistici medievali da Vincenzo di Beauvais, autore dello Speculum naturale ad Alberto Magno che la citò nel suo De animalibus, a San Tommaso d’Aquino, in cui il pellicano ridona la vita con il suo sangue ai piccoli senza vita. Nell’Adoro te, uno dei cinque inni eucaristici dedicati al Corpus Domini composto nel 1264 San Tommaso invoca la misericordia di Gesù in questi termini: Pie pelicane, Jesu Domine / me immundum munda tuo sanguine / cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere. (Pellicano pieno di bontà, Signore Gesù, / lava le mie colpe col tuo sangue/ di cui una stilla sola basta a rendermi tutto puro da ogni peccato). San Tommaso esalta l’azione purificatrice mediante il sangue del pellicano mistico, Gesù Cristo.tommaso-aquino    Tommaso d'Aquino, O.P. Molto spesso durante gli ultimi secoli del Medioevo, ma anche in seguito, la figura del pellicano conclude la croce sopra l’iscrizione INRI stando così proprio a sottolineare l’azione purificatrice del sangue di Cristo sparso per i peccati degli uomini. A questi primi significati di purificazione, di redenzione e di risurrezione che il simbolismo cristiano riferisce al pellicano, dal tardo Medioevo, secondo una interpretazione estensiva dell’antica leggenda tramandata dal Physiologus, se ne aggiunge un altro che poi prevale: il pellicano che offre il suo sangue per nutrire i piccoli, diventa l’emblema dell’amore di Cristo per le anime, espresso dal dono del suo sangue nell’Eucarestia. Come il pellicano nutre con il suo corpo i suoi piccoli, così Gesù, “nostro pellicano”, come lo chiama Dante (Par. XXV 113) ci nutre con il suo corpo e il suo sangue, in un supremo atto d’amore. È per questo che troviamo l’immagine del pellicano anche nelle rappresentazioni della Carità.

V. Il pellicano, simbolo cristologico

Il pellicano rendeva concreto agli occhi dei fedeli il messaggio d’amore del Cristo crocifisso che si dona agli uomini divenendo così emblema dell’Eucarestia. La carne e il sangue offerto dal pellicano per i suoi “piccoli” ha rappresentato fin dai primi secoli ma sopra e tutto a partire dal Medioevo (vedi Giotto e la sua scuola influenzata dalla predicazione degli Ordini Mendicanti), la Carne e il Sangue di Cristo offerti in sacrificio per la vita degli uomini. Chi lo guarda nelle nostre chiese con gli occhi della fede vi può scoprire ancora oggi il messaggio più profondo di Cristo: donare se stesso per i fratelli, perché rende visivamente quanto Giovanni ha scritto dell’amore di Gesù Cristo: “Nessuno può avere maggiore amore di chi dà la propria vita per i suoi amici” (Giov. 15, 3). La bella favola del pellicano che ha resistito nei secoli fino ai giorni nostri sta a ricordarci che bisogna camminare nell’amore come anche Cristo ci ha amato e offerto se stesso per noi “come oblazione e sacrificio a Dio” (Ef 5, 2). Se l’amore vero travolge ogni ostacolo, resiste ad ogni fatica e delusione, perché la felicità sta nel dare il nostro “sangue” per gli altri, per sorreggere, confortare, aiutare, soccorrere i “piccoli”, quelli più deboli di noi, quei nostri fratelli si sentiranno corroborati dal nostro amore.

Per non appesantire la lettura dell’articolo si è preferito porre nel testo, tra parentesi, quadre, alcune necessarie note esplicative inserendovi anche essenziali referenze bibliografiche ad esse ad esse inerenti.

fr. Maxim D'Sylva, O.P.

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