DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

San Francesco e la famiglia: grazie e scusa

Continua da: San Francesco e la famiglia: "permesso"

Grazie: Prima di tutto il ringraziamento, la riconoscenza di Francesco s’indirizza a Dio e, potremmo dire, in due direzioni. Da un lato, in generale, per la creazione e la redenzione e, dall’altro, per ciò che riguarda in particolare lui, Francesco, e la sua opera.
Limitiamoci, per il primo punto, a ricordare il Cantico delle creature, che ha fornito l’inizio dell’ultima enciclica del Papa regnante, e a citare questo passo della parte finale della Regola non bollata:

E ti rendiamo grazie, perché come tu ci hai creato per mezzo del tuo Figlio, così per il vero e santo amore, col quale ci hai amato hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa sempre Vergine beatissima santa Maria, e per la croce, il sangue e la morte di Lui ci hai voluti liberare e redimere1.

Per il secondo punto, ricordiamo come la Legenda dei tre compagni ci racconta che, dopo che il crocifisso di S. Damiano gli abbia parlato, Francesco « rientrando in città, incominciò ad attraversare piazze e strade, elevando lodi al Signore con l’anima inebriata […] Molti si facevano gioco di lui, persuasi che gli avesse dato di volta il cervello […] Ma lui, non badando agli scherni, rendeva con fervore grazie a Dio »2.

Quanto, poi, alla riconoscenza nei riguardi degli altri, ricorderò soltanto come, mentre attraversava il campo di un contadino, questi, dopo essersi accertato che fosse proprio « frate Francesco », gli disse: « Guarda di essere tanto buono come tutti dicono che tu sia, perché molti hanno fiducia in te. Per questo ti esorto a non comportarti mai diversamente da quanto ci si aspetta », e allora Francesco « prostratosi davanti al contadino, più volte gli baciò i piedi umilmente, ringraziandolo di essersi degnato di ammonirlo »3.

daniel-ols   fr. Daniel Ols, O.P.

Scusa: La terza parola che ci propone il Santo Padre è « scusa », cioè la richiesta di perdono. Sappiamo come, negli inizi della fondazione, san Francesco rimpiangeva i suoi peccati passati, chiedeva per loro perdono e, a tale fine, s’imponeva severe penitenze. Leggiamo in san Bonaventura che

in seguito alla chiamata di Dio, il numero dei frati era ormai salito a sei. Il loro pio padre e pastore, trovato un luogo solitario, in molta amarezza di cuore piangeva sulla sua vita di adolescente, trascorsa non senza colpa: mentre chiedeva perdono e grazia, per sé e per la sua prole, che in Cristo aveva generato, si sentì invadere da una esuberante letizia e fu assicurato che tutte le sue colpe gli erano state rimesse pienamente: fino all’ultimo quadrante [cioè, all’ultimo spicciolo]4.

San Francesco certamente esorta alla misericordia e al perdono nei riguardi di chi ha peccato, ma precisa bene – e non è superfluo ricordarlo in questi tempi in cui si parla spesso di misericordia in modo incauto – precisa bene la necessità in cui è colui che ha peccato di chiedere perdono. Scrive, per esempio, ad un ministro (cioè a un provinciale):

[…] che non ci sia un frate al mondo, che abbia peccato quanto più poteva peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne ritorni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e, se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole esser perdonato. E se comparisse davanti ai tuoi occhi mille volte, amalo più di me per questo, affinché tu lo possa conquistare al Signore ed abbi sempre misericordia di tali frati5.

E nella Regola bollata è precisato che i ministri, ma ovviamente possiamo allargare mutatis mutandis a tutti, « devono guardarsi di non adirarsi né risentirsi per il peccato commesso da un frate, poiché l’ira e il risentimento impediscono in sé e negli altri la carità »6.

Conclusione: 

A termine di questa sommaria esplorazione su questi tre realtà (permesso, grazie, scusa) nella vita e nell’insegnamento di Francesco, possiamo dire, mi pare, che, se ovviamente non sono presso san Francesco in relazione con il matrimonio, tuttavia meditando sul modo in cui egli ha saputo vivere e insegnare queste « tre parole », le quali, secondo il Santo Padre, sono sulla porta d’ingresso di una vita famigliare autenticamente cristiana, i genitori, i figli, i nonni troveranno tanti spunti per perfezionare la vita della famiglia, crescendo nella obbedienza e nel rispetto vicendevole, esercitando la gratitudine verso Dio e verso i congiunti, non esimandosi dal riconoscere le proprie colpe e di chiederne perdono, prima a Dio poi, se occorre, ai famigliari. Però, non possiamo dissimularci che, purtroppo, per molti, oggi, il matrimonio può esser diventato un peso che giudicano insopportabile. Cristo, invece, nella pericope evangelica che abbiamo sentito poco fa dice che il suo giogo è leggero, mentre è stato lui a riformare la legge di Mosé, affermando l’indissolubilità del matrimonio e aprendo così il matrimonio al rischio di diventare un peso difficile da sostenere. Di fronte a tale paradosso, dobbiamo ricordare quel che insegnava san Tommaso, dopo tanti altri, ossia che i precetti della Nuova Legge non sono pesanti a coloro che amano Dio, che amano Cristo poiché « ciò che è pesante e insopportabile, l’amore lo fa leggero »7.

Ma perché questo si possa realizzare, è necessario che il matrimonio cristiano sia veramente fondato non nella passione, ma nell’amore di carità, amore di carità per Dio, amore di carità per il coniuge. San Bonaventura ci riporta che, per intercessione di san Francesco richiesto da un nobildonna il cui marito « molto cattivo » (valde crudelis) la ostacolava nel servire Cristo, questi fu subitamente convertito e « trasformato in uomo nuovo »8.

In questo giorno, quindi, che unisce la solennità di san Francesco e l’apertura del sinodo sulla famiglia, chiediamo al santo che celebriamo d’intercedere oggi, come lo ha fatto allora, perché la pace e la vera pietà regnino nelle famiglie e perché l’esempio delle virtù che ha praticato e la forza degli insegnamenti che ha dispensato illuminino i Padri sinodali e tutti i focolari cristiani del mondo.

fr. Daniel Ols, O.P.

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1) S. Franciscus Assisiensis, Regula non bullata, c. 23 [FF, p. 209; trad. FFit, p. 120]

2) Legenda trium sociorum, c. 7 [FF, p. 1394; trad. FFit, p. 1083]

3) Thomas de Celano, Vita secunda, c. 103 [FF, pp. 569-570; trad. FFit, p. 667]

4) S. Bonaventura de Balneoregio, Legenda minor, II, lectio 3 [FF, pp. 973-974; trad. FFit, p. 1026, con qualche ritocco]

5) S. Franciscus Assisiensis, Epistola ad quendam ministrum [FF, p. 95; trad. FFit, p. 168]

6) Regula bullata, c. 7 [FF, p. 177; trad. FFit, p. 127]

7) S. Thomas de Aquino, In ev. Matthaei, c. 11 [Marietti, n. 973]; cfr. Ia IIae, q. 107, a. 4

8) S. Bonaventura de Balneoregio, Legenda maior, c. 11 [FF, pp. 873-874]

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