DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Gratia praedicationis: note in margine al Giubileo dell’Ordine dei Predicatori

Nel 2016 ricorre l’ottavo centenario della conferma dell’Ordine da parte di papa Onorio III e il Giubileo non è solo un momento di celebrazione gioiosa per il nostro Ordine, vitale ancora dopo tanti secoli dalla sua nascita, ma è anche soprattutto un ritornare alle fonti, riscoprirne le finalità e riaffermarne la sua missione. Per il nostro Ordine ritornare alle origini vuol dire confrontarci con il suo carisma: la predicazione.

“Totalmente al servizio di Dio” è l’emblema della vita religiosa secondo san Tommaso. Un servizio che si esplica nella rinuncia a beni e affetti terreni attraverso la preghiera, lo studio, la predicazione e che ha come fine la diffusione della Parola di Dio nel mondo circostante. Sono ormai 800 anni che l’Ordine è stato fondato e le sue linee portanti non sono state mutate.

L’Ordine domenicano è chiamato Ordo (Fratrum) Praedicatorum, perché la predicazione è stata la sua caratteristica fin dal suo nascere ed è ciò che lo distingue da tutti gli altri durante i secoli. Se consideriamo l’epoca in cui sorsero altri Ordini, come per esempio quello dei Premostratensi che pure avevano fatto della predicazione - accanto a un rigido ascetismo - uno dei loro compiti principali, si nota subito l’originalità della missione del nostro Ordine. La predicazione dei Domenicani non parte da conventi isolati in lande deserte o in valli selvose come appunto furono quelli dei Premostratensi o di san Bruno di Colonia che scelse la valle della Chartreuse per una vita di rigido distacco dal mondo: i Domenicani vivono a contatto con il popolo.

I loro conventi, anche se inizialmente li troviamo ai margini delle più fiorenti città medievali, furono ben presto costruiti all’interno delle mura cittadine dove vivevano persone a cui poter rivolgere la Parola di Cristo, dove i rappresentanti della nascente ricchezza economica si mescolavano ai nuovi poveri ed emarginati. Fare della diffusione della Parola di Cristo attraverso la predicazione il fulcro della missione domenicana fu la grande intuizione di Domenico. La sua era ancora un’epoca in cui la predicazione era prerogativa dei vescovi, oltre che del Papa, in quanto successori degli Apostoli ; solo eccezionalmente a semplici preti era concesso per breve tempo di predicare, delegati solo per una temporanea “missione” (cfr. Rm 10,15 “Come potrebbero predicare se non sono mandati ?”). Si dice invece che proprio la predicazione (l’officium praedicationis) sia il mandatum, la missione dell’Ordine.

“Il nostro ordine è stato fondato per la predicazione e la salvezza delle anime”. Questa dichiarazione, che sottintende anche un programma, la troviamo nel primo Capitolo Generale che si riunì a Bologna quattro anni dopo che Onorio III aveva dato la sua approvazione a Domenico per la costituzione di quel nuovo Ordine che lui stesso denominò Ordo Praedicatorum. Dichiarazione programmatica che fu inserita nel Prologo della primitiva Costituzione e che risale quasi certamente allo stesso san Domenico.

predicatore-domenicanoLa predicazione è al centro della missione del Domenicano e fin dagli esordi fu ritenuta tanto importante che Umberto di Romans decisamente afferma che “è una lode a Dio ancor più esplicita dell’Ufficio Divino” (che del resto doveva essere recitato “brevemente e succintamente”), aggiungendo che ”il titolo di Lode Divina può essere realmente attribuito alla predicazione”. L’Ordine ha sempre fatto della predicazione la sua missione facendo sue le parole di Paolo, infaticabile predicatore: “Guai a me se non predicassi!“ (1 Cor 9,16), diffondendo la Parola dal mondo circostante fino alle terre più lontane, aprendosi anche al dialogo nella ricerca di quel comune denominatore che unisce fedi diverse, di quella verità che è presente nelle culture più disparate, e che promana sempre da Dio, perché veritas a quocumque dicatur, a Spirito Sancto est. Difatti l’apertura a ciò che è diverso ha sempre connotato l’Ordine. La predicazione non può essere efficace se non si conosce l’altro (e oggi questo, nel “villaggio globale”, è divenuto fondamentale), se non si conosce il suo mondo di affetti, di ansie, di paure, di dubbi, se non si offre la Parola di Dio con la carità e la disponibilità verso il fratello che vuole sostenere, a cui vuole comunicare la gioia illuminante del Vangelo di Cristo. Il dialogo deve caratterizzare, penso, la nostra predicazione di oggi; che deve quindi essere fiduciosa, attenta ai valori positivi dell’altro, paziente e generosa nel comprendere, capace di cogliere i segni del nostro tempo e di interpretarli per indicare la strada delle verità eterne contenute nella Parola, di fornire la chiave per una nuova dignità della persona, un nuovo umanesimo.

Nel Medioevo si guardava con sospetto alla cultura ereditata dal mondo classico che si cercava di salvare “moralizzando” gli autori più amati (gli Ovidi “moralizzati“ ne sono un esempio), soprattutto alle opere dei filosofi non cristiani, da Aristotele ad Averroè; ma già allora nell’Ordine domenicano queste barriere non esistettero e sappiamo che Umberto di Romans, con illuminata intelligenza, permise di studiare, con cautela, quei libri dei “pagani”: la predicazione sottintendeva cultura e conoscenza dell’altrui pensiero. Appena Domenico si scontra con l’eresia, si scopre “umile ministro della predicazione”, si rende conto che solo un profondo rinnovamento del clero e soprattutto una profonda dottrina e una attenzione alle esigenze del suo tempo potevano sconfiggere avversari così pericolosi e agguerriti come gli Albigesi.

Predicare è finalizzare la propria attività alla salvezza di tutti. Predicare non vuol dire insegnare in un modo qualsiasi, non è una trasmissione di sapere, ma un toccare l’animo di chi ascolta; bisogna infiammarlo come diceva Umberto di Romans, “ma per infiammare - aggiungeva - bisogna essere ardenti”. maxim dsilva 2    fr. Maxim D'Silva, O.P.Ecco perché la predicazione si fonda soprattutto sulla carità, sulla misericordia verso l’altro ad imitazione della carità e misericordia di Cristo, ma anche sulla coerenza delle parole con lo stile di vita che San Domenico volle improntato ad ogni forma di sobrietà. I consigli evangelici e lo studio furono vissuti tanto intensamente dall’Ordine nei primi decenni della sua vita insieme alla costante attività della predicazione, che Gregorio IX affermò: ”I Frati Predicatori sono potenti con le opere e con le parole” e innalzò agli onori degli altari il suo fondatore nel 1234. La predicazione è l’espressione della contemplazione che il Domenicano fa nel silenzio e nel raccoglimento, perchè per percepire il “Dio nascosto” (Is 45,15) bisogna saperlo ascoltare nel silenzio accogliente del nostro cuore e della nostra mente. Contemplari et contemplata aliis tradere, dice san Tommaso. Ancora oggi, dopo otto secoli, questa massima risulta attuale e necessaria in un mondo che non è più capace di contemplare, sommerso com’è dal frastuono, dalla distrazione, dall’affollamento, di isolarsi per ascoltare la Parola di Dio e immergersi in Lui. Il “contemplari” che precede e da sostanza alla predicazione liberando dalla contingenza, e il “tradere” che è il dono che anche oggi il Domenicano fa con la sua parola a chi non sempre riesce a liberarsi dalle pastoie della vita quotidiana per vivificarla e illuminarla con la Parola di Cristo.

Sono quindi la carità e, se vogliamo ricordare l’insegnamento tante volte raccomandato da Cristo, la misericordia ciò che hanno guidato la missione di predicatore del Domenicano ieri come oggi. La predicazione nel mondo odierno è facilitata dall’uso ormai generalizzato dei mass media; un click e i nostri interventi a dibattiti, conferenze, tavole rotonde volano per il mondo; la stampa li riproduce a nostro piacimento per una diffusione ancor più capillare; ma penso che ancora oggi la predicazione, più efficace, sia l’omelia. Questa raggiunge anche chi non ha tempo o non sa ancora usare un computer o non ha l’occasione di leggere riviste e libri o anche, se vogliamo, guardare un’opera d’arte a soggetto religioso (perchè anche questo è, a suo modo, predicazione); chi, come gli anziani (e io ne ho l’esperienza di predicatore in una piccola chiesa ai margini della parrocchia di San Domenico di Fiesole), aspetta da noi di trovare nelle nostre parole il messaggio di Cristo, messaggio di speranza, conforto, certezze. E se qualcuno ci appare distratto, sbadiglia, guarda con intenzione l’orologio (quante volte ci è giunto alle orecchie il tanto... avvilente “ma quanto la fa lunga!!”), dobbiamo dare a noi stessi la colpa, interrogandoci; forse è colpa della routine che ha preso il posto della gioia della meditazione, di un certo senso di stanchezza e inutilità di fronte alla indifferenza, quella mancanza di calore e persuasione che rendono inefficaci la nostra comunicazione del messaggio evangelico.

Se invece la Parola di Cristo è viva, e infiamma i nostri cuori, la Grazia dello Spirito ci detterà le parole giuste per arrivare al cuore di chi ascolta e adempiremo così alla missione voluta e vissuta dal nostro Fondatore. La gratia praedicationis è una bellissima definizione per questa alta missione del Domenicano, per questa “eccelsa vocazione” come la definisce Umberto di Romans che considerava i predicatori in un certo qual modo la “bocca di Dio”. E all’inizio di questo Giubileo, il più grande augurio che io oggi possa fare a me stesso ed estendere ad ogni fratello Domenicano in qualsiasi parte del mondo operi, in qualsiasi convento viva, sia di essere, grazie alla sua predicazione, come disse Simon Tugwell di san Domenico, “messaggero dell’amore di Dio” per tutte le persone che troviamo sul nostro cammino, perchè per dirla come Timothy Radcliffe “essere un predicatore significa che ognuno di noi è mandato da Dio a quelli che incontriamo”.

fr. Maxim D’Silva, O.P.

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