DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

San Domenico e la predicazione di frontiera

Nella festa della traslazione di S. Domenico, fondatore dell’Ordine dei Predicatori, parliamo di predicazione.

Da Gesù in poi la predicazione ha come oggetto la “buona novella”, la buona notizia (vangelo) della salvezza di Dio per l’umanità. Salvezza che si esprime come vicinanza del regno di Dio. I testi che parlano del regno di Dio (regno dei cieli) a volte ne parlano come vicino (Mt 3, 1-2. 14-15; 10, 7) a volte come già realizzato (Lc 11, 20; 17, 20-21), a volte come futuro (Lc 22, 18; Mt 7, 21; 25, 34; 6, 10).

Non è una contraddizione perché si tratta di una realtà dinamica:  è già presente nelle parole e nei miracoli di Gesù in quanto manifestazione del potere divino, ma la sua piena rivelazione non è ancora avvenuta ed è da attendere e invocare nella preghiera (venga il tuo regno – Mt 6,10).

In questo spazio tra l’inaugurazione del regno di Dio da parte di Gesù Cristo e la sua manifestazione finale si colloca la storia della Chiesa, dei discepoli ai quali Gesù ha detto: “Andate in tutto il mondo, proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). Ma cosa vuol dire proclamare il Vangelo? Come annunciare al mondo, ad ogni creatura, il Dio della vita e testimoniare che il vangelo è forza di liberazione?

Se esaminiamo alcuni testi che si riferiscono a Cristo troviamo che la sua predicazione è accompagnata dal compimento di quanto viene annunziato. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione…per portare ai poveri il lieto annuncio… Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (cf. Lc 4,18-21); ancora: “Andate e riferite a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano…e ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11, 4-5). Predicare non è solo parlare della liberazione ma è renderla presente e attuale con la stessa predicazione che provoca l’impegno a lottare contro il male e a lavorare per la liberazione di chiunque in qualsiasi modo è oppresso.

Nel brano del profeta Isaia (61, 1-2) che Gesù legge e commenta nella sinagoga di Nazaret c’è il ritratto di Gesù misericordioso e amico dei poveri e dei peccatori. L’attesa del profeta si è compiuta e Gesù si proclama il messia atteso. “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. E tutta la sua vita sarà orientata a portare liberazione e salvezza e testimoniare la tenerezza e la vicinanza di Dio.

Alla luce di questo esempio di Gesù, si comprende la storia di quanti hanno unito all’annuncio del Vangelo l’impegno sociale e la lotta contro le ingiustizie per ridare vita piena e libertà ai poveri, agli oppressi, agli emarginati. E’ quanto hanno fatto molti nostri confratelli tra cui Bartolomé de Las Casas.
Las Casas, nato a Siviglia nel 1484, a 18 anni si reca nel Nuovo Mondo appena scoperto. Dopo alcuni anni ritorna in Europa e viene ordinato sacerdote. Si reca nuovamente in America latina come cappellano dei coloni spagnoli e si stabilisce nell’isola che oggi si chiama di Santo Domingo-Haiti. Accetta senza difficoltà il sistema della colonizzazione e cura i suoi interessi a danno degli indigeni, come tutti gli altri coloni.

Intanto alcuni domenicani, giunti in quell’isola, prendono posizione contro gli spagnoli per il trattamento disumano e le atrocità  che vengono commesse contro la popolazione nativa. In una domenica di avvento del 1511 uno di loro, fr. Antonio Montesinos, denuncia pubblicamente per la prima volta questa oppressione.

La predica provoca grande scalpore, ma Las Casas continua a occuparsi dei suoi affari e a incrementare la sua azienda, sfruttando e tenendo schiavi alcuni indios. Dopo la pasqua dei 1515, meditando su un testo della Scrittura (Siracide 34, 18-22) capisce che la fede non si può conciliare con lo sfruttamento degli indios. Capisce, come dirà più tardi, che “Dio onnipotente, padre di misericordia, desidera che gli oppressi siano liberati, gli afflitti soccorsi, le anime redente e salvate, perché è questo lo scopo per cui suo Figlio è venuto sulla terra”. Questa consapevolezza lo porta alla determinazione di usare tutti i mezzi per liberare e difendere gli indiani e da allora sarà instancabile in questo impegno.

Dopo un primo contatto con i domenicani inizia una spola fatta di numerosi viaggi tra il Nuovo Mondo e la Spagna per andare alla corte a perorare la difesa degli indios e per parlare con tutte le persone influenti dell’epoca. In seguito ad altri incontri con i domenicani decide di farsi anch’egli domenicano  (1523).

Aldo Tarquinifr. Aldo Tarquini, O.P.
Priore Provinciale
Terminata la sua formazione religiosa, riprende a sollecitare le autorità spagnole a cambiare politica e a dare la priorità al bene spirituale e materiale degli abitanti del nuovo mondo, ponendo fine al loro stato di schiavitù. Viaggia in vari territori della conquista (Messico, Panama, Perù, Nicaragua, Guatemala) esercitando il suo ruolo di predicatore nella linea della denuncia degli abusi contro gli indios e rivolgendo agli spagnoli severi ammonimenti.

Dopo aver rifiutato la nomina a vescovo di Cuzco (Perù), accetta quella a Vescovo di Ciudad Real nel Chiapas (l’attuale S. Cristobal de las Casas).
Dopo 5 anni rinuncia all’episcopato, torna in Spagna e trascorre gli ultimi anni della vita nel convento di Madrid dove muore il 18 luglio 1566.

Nel suo testamento scrive tra l’altro: “Nella sua bontà e misericordia Dio mi ha scelto, sebbene indegno, come suo ministro per difendere la causa di tutti i popoli delle Indie, proprietari di quei regni e di quelle terre,  contro le offese e le angherie inaudite subite da parte degli Spagnoli… e per restituirli alla loro libertà, della quale furono ingiustamente privati…Io mi sono tanto affannato presso la corte dei re di Castiglia, andando e venendo molte volte dalle Indie alla Castiglia e dalla Castiglia alle Indie… senz’altro movente che l’amore di Dio e la compassione che provo nel vedere morire queste moltitudini di creature razionali, così pacifiche, così umili, docili e semplici…”.

Per Las Casas la salvezza è connessa con la realizzazione della giustizia sociale. La sua teologia è una teologia militante che nasce nel vivo della lotta per la liberazione, la giustizia. In una lettera inviata al re nel 1552 aveva scritto: “Devo pur informare vostra altezza dei difetti che qui rilevo, le cui conseguenze per le Indie sono irreparabili, poiché sembra che Dio mi abbia affidato l’incarico di deplorare le disgrazie altrui che mi colpiscono come fossero le mie”.

Ecco la chiave di lettura della sua vicenda: l’identificazione con i poveri e dei poveri con Cristo, l’amore di Dio vissuto nell’impegno per la liberazione dei fratelli, per la costruzione di una società in cui regni la giustizia e la pace senza schiavi e senza oppressione. Egli si sente chiamato da Dio e non lo spinge altro motivo che “l’amore di Dio e la compassione che provo nel vedere morire queste moltitudini di creature”. E’ questa la passione che lo anima: l’amore per Dio incarnato concretamente nell’amore per il fratello che ha davanti (cf 1Gv, 4,20) nel quale vede il volto di Gesù Cristo vivo, flagellato, schiaffeggiato, crocifisso e ucciso “non una ma mille volte”.

Oggi viviamo un’altra storia e le situazioni in cui ci troviamo sono molto diverse e lontane da quelle vissute da Las Casas, ma la sua testimonianza rimane esemplare, perché in ogni tempo la convivenza umana è messa in discussione dai meccanismi di oppressione, di ingiustizia e di morte.
Anche oggi una situazione di violenza strutturale grida verso il cielo e non può essere nascosta né taciuta. E’necessario leggere e decifrare i segni dei tempi e le situazioni storiche che cambiano. La predicazione non può essere indifferente, ignorare questi fatti né ridursi a mera ideologia, ma deve essere una parola coraggiosa, che dà voce a chi soffre in silenzio senza la forza  né la voce per liberarsi.

Questo compito della predicazione  ci pone oggi, come diceva un altro domenicano, Pierre Claverie, nelle linee di frattura dell’umanità che attraversano il nostro mondo segnato spesso dall’ingiustizia e dalla violenza dei conflitti razziali, sociali e religiosi. E queste linee di frattura sono come delle frontiere nelle quali è necessario essere presenti:
-       la frontiera tra la vita e la morte
-       la frontiera tra l’umanità e la disumanità
-       la frontiera tra dialogo e l’intolleranza.

La predicazione, che è annuncio della buona notizia della salvezza di Dio per l’umanità, deve renderci solidali con Dio stesso il quale abbatte i potenti e innalza gli umili (cf Lc 1, 52) e deve andare di pari passo con la critica profetica ed evangelica di ogni idolatria per smascherare i meccanismi occulti di esclusione e denunciare i processi oppressivi su cui si fondano molto spesso il nostro vivere sociale e le relazioni internazionali.

Che san Domenico ci accompagni in questo cammino.


fr. Aldo Tarquini, O.P.

Priore provinciale della Provincia Romana di S. Caterina da Siena

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