DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Cosa sperare oggi

Tra il novero di persone che incontro nel mio variegato apostolato, molte mi interrogano, cariche di un sentito pathos esistenziale, su cosa sperare oggi? Un quesito che mi ha punto nel vivo e mi ha costretto a una lunga riflessione. Vista la centralità del tema, soprattutto per chi oggi si trova frastornato dalle differenti opzioni religiose ed è, non per sua colpa, orfano della gioia che traspare dal messaggio sanificante/santificante del Vangelo, vorrei provare a mettere a fuoco una prematiccia serie di considerazioni. Più che rispondere positivamente alla domanda in oggetto (visto che ancora mi è difficile farlo), cercherò di interrogarla.

 La delicatezza del tema richiede una buona dose di prudenza, unita al muoversi con circospezione. Iniziamo dunque con una definizione del termine speranza.  In linea generale, stando a quanto enuncia un qualunque vocabolario, il termine speranza rimanda all'attesa di qualcosa di utile al nostro bene. Per l'uomo della strada, prima ancora di essere una delle tre virtù teologali di cui parla san Paolo, la speranza è un termine carico di significato etico. Ciascuna delle tre parole della definizione ora data, ci aiuta a scomporre il quesito riportato all'inizio. Il verbo "attendere", rimanda anzitutto a un'attività; a un agire che ci coinvolge in prima persona. Il pronome indefinito "qualcosa", si riserva invece di non definire una volta per tutte l'oggetto della speranza, facendo intendere che ognuno attende una speranza diversa dall'altro. L'aggettivo "utile", fa pensare a qualcosa che in caso di bisogno, o situazioni particolare della vita, è necessario possedere. Il "nostro bene", concludendo, è il fine della speranza; è l' offrire alla speranza un senso includendola in un'etica; quasi a suggerire che senza speranza non è facile, se non impossibile, vivere. Significati che ovviamente meriterebbero ben altri approfondimenti, ma che ora non possiamo permetterci.

Un rimando storico impone di ricordare che il termine speranza ha avuto nelle diverse epoche un differente intendimento. Nella Grecia classica, ad esempio, la speranza era uno dei mali usciti dl vaso di Pandora. Un concetto ripreso nel mito di Sisifo, che è il racconto di un uomo che per punizione fu costretto dagli dei a spingere un masso verso la cima del monte per poi vederlo di nuovo rotolare verso il bassouna volra raggiunta la met, in un'altalena senza fine; il tutto a indicare una meta irraggiungibile, un traguardo senza speranza di essere tagliato. Aristotele definiva la speranza un sognare ad occhi aperti; un'entità contraddittoria e irrealizzabile. Se adesso andiamo a spulciare il Vecchio Testamento ,notiamo che il termine speranza presenta ai credenti la visione di ciò che sarà il mondo quando arriverà il Messia; si pensi, infatti, all'uso che ne fa Isaia, che proprio per questo suo messaggio ci accompagna nel Tempo di Avvento (un tempo di Attesa...). Per il Nuovo Testamento che è seguito al messaggio di Gesù, la speranza è il riprendersi la vita nello Spirito. A queste note storiche va aggiunto che tra le fine del XIX e l'inizio del XX sec., due noti teologi protestanti (A. Schweitzer e E. Hermann), postularono che l'essenza del messaggio di Gesù Cristo fosse di tipo escatologico (o apocalittico), e che riguardava il futuro regno di Dio. Un concetto ripreso dal loro correligionario K. Barth e dal teologo cattolico H.U. von Balthasar, due dei massimi teologi del Novecento. Se, dunque, per i greci la speranza riguardava il presente, o meglio un eterno presente che non ha un futuro (base dell'eterno ritorno delle cose di Nietzsche), per i cristiani essa è il già e non ancora; o detto altrimenti, il realizzaarsi del Regno di Dio sulla Terra.

Una ulteriore conclusione mette in luce che tra l'avanzamento storico-trionfale del cristianesimo (il suo punto di zenit fu il Concilio di Trento nel XVI secolo) e il nostro presente, si è interposto il dato sociologico della rivoluzione industriale, che il teologo evangelico J. Moltmann ha avuto il merito di analizzare con acume. Per stringere all'essenziale i risultati, potremmo dire che la società industriale ha indotto il crearsi di un regime di scambio dei beni (essenzialmente fatto di acquisti), in tutto e per tutto conseguente alla produttività industriale. Il modulo di società che compare coincidecioè con un modulo di scambio economico del tipo: l'industria produce manufatti e la persona li deve acquistare e consumare. In un breve lasso di tempo il rapporto Produzione-Consumo diventerà non solo lo schema che regola la nuova forma dell'economia, ma addirittura dell'interezza della vita sociale ed etica. Alla società contadina, il cui ritmo era scandito "dalla natura, un creato di per sé carico di contesti spirituali e cristiani (anche se spesso giocati fra i margini del magico-superstizioso e del religioso), si è venuto a sostituire una società essenzialmente materiale. La speranza escatologica del vangelo ha preso così la forma del progresso tecnico-scientifico. alessandro saluccifr. Alessandro Salucci, O.P.Chi, infatti, oggi non crede nella verità proposta dalla ricerca scientifica o non assegna, ad esempio, ai progressi della medicina il suo sogno di immortalità? Il sorgere imperioso della società industriale ha portato, insomma, al fiorire del dominio politico della borghesia, la quale non richiede una religione della società (una religione ecclesiale), ma una religione del singolo; essa argomenta a favore di una religione fai da te e il recente diffondersi del buddismo con annesso il regime almentare consono, il sorgere imperioso della New Age e di altre religioni legate al "benessere, hanno qui la loro giustificazione. Possiamo perciò argomentare che da una religione come culto ad un Dio Persona, con tutto ciò che di etico essa comporta,si è stati traghettati (come società) ad una religione come esercizio di un puro benessere personale. Che è come essere passati da una religione della comunità (ecclesia) a una religione fatta a apropria immagine e somiglianza. Non è allora per niente arduo affermare che la rivoluzione industriale ha rotto l'apparente equilibrio che nella Chiesa post-costantinania si era composto tra ecclesia e civitas.

La prima conseguenza di quanto sommariamente esposto, è che gli uomini e le donne del nostro oggi non trovano più un senso al loro stare insieme nella fede in Cristo, ma nel soddisfacimento dei beni fatui; mi lego a te non perché condividiamo un percorso di valori che sarebbe faticoso o addirittura impossibile da realizzare da solo, ma perché mi fai comodo per realizzare il mio prestigio sociale, o quanto altro. Un vero e proprio spostamento dallo spirituale al materiale. Un travaso che Hegel aveva già intuito quando nelle lezioni sulla filosofia del diritto, annotava che la società dei bisogni sostituirà la società ecclesiale. Uno dei prodotti della globalizzzazione è proprio questo: il lavoro ormai non nobilita l'uomo nella sua dignità, ma serve solo a sostenere i consumi in una società dei bisogni indotti. Ma dove ha posto qui la cenrtalissima comunione dei santi, retta dalla misericordia di Dio e degli uomini?

Una possisbile risposta a tale degenerazione evangelica è il ripensare la speranza come categoria teologica; è ridare all'escatologia un valore che non si centra sul giudizio, ma sulla capacità di costruire una società plurale, dove abbia voce la speranza laica di una società giusta e solidale, e la speranza cristiana che ha nel Getzemani un perno di responsabile obbedienza al volere di Dio. Potremo anche parlare di una speranza che avvolga in un insieme le scelte del singolo e della società, avendo a modello Gesù all'Orto degli Ulivi. Si tratta, in soldoni, ma sarebbe utile una riflessione ben più approfondita, di baipassare ciò che non ha funzionato nella Chiesa costantinana e di riappropriarsi della Chiesa consegnataci dagli Apostoli. Pensiamo per un attimo al l'Arca di Noè (Gen 9, 8-17). Al suo interno si è chiamati a essere se stessi nella propria totalità, al fine di godere in eterno della salute/salvezza, vale a dire della vita continuamente rinnovata dello Spirito(Ap. 21, 3-4). La chiesa infatti non trova giustificazione se non come luogo dello Spirito, come l'abitazione dove sono educato, nell'obbedienza a Cristo, a divenire ciò che sono in realtà e non ciò chevorrei apparire;dove sono capace di essere veramente libero in Cristo (Gal 5,1).

Questo dovrebbe essere, a mio giudizio, l'impegno che in questa nostra società ci riguarda come Frati Predicatori; come persone impegnate allo studio e alla vita della Parola di Dio, che è l'oggi di Dio per noi. Una Parola che è pre-dicazione, ovvero pre-annuncio, proclamazione che il Regno è già in mezzo a noi e che attende di essere realizzato in pienezza dal contributo di ogni fedele. Ma che è anche sacramento, perché incarnazione nella passione, morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, che è Battesimo, Confermazione ed Eucarestia. La speranza qui intesa come obbedienza di sé a Dio (Cfr. Rm 12,1-5) coincide col superamento del mefitico rapporto di produzione e consumo e diviene utile a costruire una società laica ed ecclesiale intrisa deii valori etici ed escatologici del Vangelo. Ogni comunità domenicana nella sua liturgia, nella vita comune, nello studio e nella contemplazione dovrebbe essere pari ad una cellula vitale che testimonia l'esistenza di un tessuto di speranza: Cristo ha vinto con la sua crose il peccato e la morte. Perciò, ciò che adesso ci attende in speranza è la pienezza, in Lui, della gioia.

fr. Alessandro Salucci, O.P.

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