DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

La stele frantumata: Serge de Beaurecueil

In un tempo di muri e di barriere interiori ed esteriori fa bene tornare a far memoria di testimoni di dialogo e di incontro, persone che hanno gettato ponti e si sono lasciati cambiare la vita dall’avventura dell’ospitalità. Agli inizi di marzo di dodici anni fa moriva in Francia il domenicano Serge De Beaurecueil (1917-2005). Entrato nell’Ordine in età giovanile dopo una infanzia segnata da sofferenza interiore per la vita familiare, fu allievo di fr.Marie-Dominique Chenu che gli diceva: “Non studiare le dottrine, studia gli uomini che le hanno concepite, nel loro ambiente e nella loro epoca. Altrimenti rischi di non capire niente”.

A partire da tale intuizione e assecondando il fascino per il mondo orientale divenne il maggior studioso internazionale del saggio e poeta afghano Abdallah Ansari (1006 - 1089), pensatore sufi di Herat e si avvicinò al mondo della mistica islamica. Fu uno tra i membri dell’équipe di domenicani che insieme a George Anawati fondarono l’Istituto di Studi Orientali al Cairo negli anni ’50 in base all’intuizione di fondo di Louis Massignon sulla manifestazione di Cristo nell’Islam. In Egitto visse una prima fase della sua vita impegnato nel paziente lavorio scientifico di edizione critica delle maggiori opere di Ansari e mantenendo una spiccata attenzione per l’educazione con sensibilità a costruire incontro e dialogo tra giovani di diverse confessioni religiose.

Egli stesso leggeva la sua vita come un cammino sulle tracce di Abramo. Come il patriarca, venerato anche dall’Islam come l’amico di Dio, chiamato ad uscire dalla sua terra, anche Serge percepì la sua vocazione come appello ad uscire, nell’incontro con altri mondi, con la tradizione dell’islam. Alcuni eventi e situazioni della vita costituirono chiamate di Dio che gli apriva percorsi sempre nuovi. Così il suo primo viaggio a Kabul nel 1955, invitato per tenere una conferenza sull’autore a cui aveva dedicato i suoi studi, fu per lui una sorta di illuminazione e inizio di un legame profondo con quel mondo così lontano verso cui tuttavia avvertiva l’esigenza di sondare il mistero all’interno del disegno di salvezza di Dio. Contatti personali coltivati e l’offerta di una cattedra presso l’Università della capitale dell’Afghanistan lo condussero a trasferirsi lì a partire dal 1962 insegnando storia del sufismo all’università statale, unico prete presente in quel paese. Poco alla volta tuttavia la sua vita cambiò. Un altro incontro decisivo fu con Ghaffar, un ragazzo afghano che si recò da lui chiedendogli di condividere insieme il pane e il sale. Questo incontro, interrotto dalla morte prematura del giovane in un incidente d’auto, segnò un altro passaggio della sua chiamata.

La domanda di mangiare insieme il pane e il sale fu da lui accolta come invito ad una condivisione di vita con il popolo afghano e quale orientamento di tutto il suo futuro. A Kabul venne a contatto con la situazione di desolazione di tanti bambini e con la loro necessità di cure appropriate. Serge, sensibile alla sofferenza dei piccoli recando dentro di sé le ferite della sua infanzia, trasformò poco alla volta la sua abitazione in un luogo dove molti bambini provenienti da diverse etnie e regioni, poterono trovare non solo un riparo, ma una nuova famiglia, chiamandolo ‘padar’ (termine familiare per ‘babbo’ in afghano).alessandro cortesifr. Alessandro Cortesi, O.P. L’impegno nel seguire i suoi ospiti lo allontanò dalla ricerca scientifica ma non dall’inseguire quella spiritualità della ricerca di Dio e dell’incontro che stavano al cuore della vita del suo autore e maestro Ansari. Divenne responsabile dei progetti educativi al liceo Esteqlal di Kabul continuando ad interrogarsi sul significato della sua presenza di prete, unico cristiano in un paese musulmano. Si aprì ad una percezione più profonda della sua testimonianza e della stessa missione della chiesa.

Fu un itinerario di apertura a nuovi inediti orizzonti: raccolse i suoi pensieri negli anni ’60 in un libro dal titolo Abbiamo condiviso il pane e il sale (da cui è stato girato un film dal regista Atiq Rahimi) e nel volume Sacerdote per i non cristiani. Poi I miei bambini di Kabul. Ma le riflessioni maturate nel suo lasciarsi cambiare dagli incontri e dalla vita furono espresse in scritti che inviava a riviste missionarie e raccolte postume nel libro Credo dalla stella del mattino. Quando anche lo spazio della piccola cappella della sua casa per esigenze di ospitalità dovette essere trasformata in un stanza da letto per aumentare gli ospiti, maturò la scoperta di un senso dell’eucaristia come consegna della vita e testimonianza spoglia del vangelo nel silenzio, nella quotidianità, nel sorriso: liturgia della vita, liturgia dell’incontro. Lui, studioso e ricercatore, riconobbe la chiamata di Dio nella realtà da cui si lasciò interrogare e che lo condusse a raccogliere attorno a sé una famiglia di bambini malati, disabili, bisognosi, per offrire loro cure, ospitalità, e speranza di vita. Scrisse pagine colme di stupore sul suo essere clown per i bambini, totalmente dedito alla gioia altrui, capace di far sorridere, ma con il volto rigato dalle lacrime di nascosto e nella solitudine.

Dovette lasciare l’Afghanistan nel 1983, dopo vent’anni, in situazioni drammatiche in seguito all’imporsi di un regime filo-russo che imprigionava e torturava i suoi ragazzi e lo sospettava come spia. Seguirono anni di sofferenza e pena per il distacco, ma anche di nuova maturazione interiore nell’abbandono a Dio che lo invitava a guardare le stelle, come Abramo. Un giorno Serge andando a visitare la tomba del giovane Ghaffar trovò una delle pietre che erano state poste secondo la tradizione alla testa e ai piedi della sepoltura danneggiata e ridotta ad una roccia appuntita rivolta al cielo. Su quella stele aveva fatto incidere il testo delle beatitudini.

Riflettendo su quel segno giunse a rileggere la sua vita e indirizzandosi in modo immaginario al grande orientalista Louis Massignon, ispiratore dei suoi studi, scrisse: “Caro Louis Massignon, non sono più orientalista. Sono solamente un piccolo professore di nulla, perché ho abbandonato la ricerca per l’insegnamento in facoltà, la facoltà per la scuola secondaria e sul punto di abbandonare la secondaria per la primaria. Il sapiente che siete stato forse in un primo momento avrebbe deplorato questo modo un po’ strano di progredire… Ma l’uomo di Dio, il profeta, il servitore che eravate avrebbe approvato senza dubbio questa via insolita che ormai è la mia, questa via costellata di steli frantumate che non possono far altro che indicare il Cielo…”. Morì nel 2005 in Francia. Sulla sua tomba volle che fossero scritte queste parole di Ansari: “Caro amico, se ti stupisci perché vedi questa tomba che danza, non dimenticare che la tristezza non siede al banchetto di Dio”.

Jean Jacques Pérennès ha ripercorso con intensa partecipazione in una bella biografia dal titolo Passion Kaboul (ed. Cerf 2014) la vita e il cammino spirituale di questo testimone di una spiritualità dell’incontro, così illuminante per il nostro oggi.

fr. Alessandro Cortesi, O.P.

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