DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

FIORE DI MAGGIO

“Tu che sei nata dove c’è sempre il sole
Sopra uno scoglio che ci si può tuffare
E quel sole ce l’hai dentro al cuore
Sole di primavera
Su quello scoglio in maggio è nato un fiore”…

Chi non ricorda questa splendida canzone di Fabio Concato? Il titolo ed il testo di questa vera e propria poesia in note mi riporta, sempre, alla nostra cara Tilde Manzotti.

Perché è nata in maggio. Perché nel cuore aveva il sole dell’Amore. Perché si è tuffata nell’Oceano dell’Amore da uno scoglio per molti quasi inaccessibile, quello del dolore e della sofferenza. Tuffandosi si è inabissata in un mare tempestoso e, come Giona, ad un certo punto è stata inghiottita da un grosso pesce. A prima vista può sembrare un azzardo equiparare l’esperienza mistica di Tilde a quella di Giona, ma in realtà le loro storie paiono coincidere.

 

Nel ventre del grosso pesce, che è l’inizio ed il progredire della malattia, Tilde sperimenta, come Giona, l’abisso della propria miseria umana, la disperazione, l’abbandono di Dio, la solitudine. Sì, la solitudine, perché chi soffre, chi entra nella malattia, fa l’esperienza di una discesa nella più profonda interiorità e lo fa da solo, col timore del vuoto e del buio, tra i tormenti interiori di uno spirito inquieto che vorrebbe fuggire. “Non so perché: benché abbia tanto buio nell’anima e sia tanto sconfortata come non lo sono mai stata ho desiderio quasi spasmodico di tutto ciò che sia lieve, irreale. È tanto dolorosa la realtà che il meglio che si possa fare a questo mondo io credo sia rifugiarsi nell’ideale” scrive Tilde il 14 agosto 1934 nel suo meraviglioso trattato di ascesi mistica che è il Diario. In quel momento- lo confessa lei stessa- desidera solo essere una fogliolina di betulla leggera, trasportata dal vento, in mezzo a sterminati campi di fiori. Quanti di noi, nei momenti di prova, di buio, cercano rifugio in case che non sono costruite sulla roccia e che non reggono agli urti della vita? Quanti sono assaliti dalla paura di attraversare l’oscurità del dolore e rincorrono le dipendenze di ogni genere, incluse quelle affettive, per narcotizzare l’inquietudine? Ed è proprio in quel momento che Tilde ci insegna a fare il salto di qualità, scoprendo la Presenza divina che abita nel suo “io” più profondo, lo spirito, (distinto da anima e psiche) e che altro non è se non Cristo in germe. Da questa scoperta, scaturisce nel silenzio l’ascolto attento dello Spirito Santo che brilla nel suo cuore e l’abbandono a Dio, che è uno slancio nelle braccia del Padre. Ora la grazia può finalmente agire, espandendosi all’anima ed alla psiche con una forza dirompente, che genera Amore infinito, traboccante fino a raggiungere gli altri esseri umani che hanno condiviso un tratto della loro vita con la nostra Tilde.

Illuminante è quanto scrive nel Diario il 7 dicembre 1938: “Signore, domani ti offrirò il mio voto di abbandono. Ma non ho nulla da dirti: oggi è una giornata un po’ buia: Tu ti nascondi ed io rimango nelle tenebre. Non ho paura: mi ci hai messo Tu.” Il 9 dicembre il culmine della sua consapevolezza spirituale, che presto maturerà in modo straordinario: “Ho ritrovato la pace e la calma. Ti sento molto vicino, forse più di quanto ti abbia sentito fino ad ora. Può darsi che sia la gioia d’averti offerto questa mia volontà ribelle, io non so bene: quello che è certo è che Tu, con la tua pace, m’inondi il cuore: quasi piangerei di gioia”. Parole che può scrivere solo chi è rinato nello Spirito, dialogando in modo filiale col Padre per mezzo dell’azione di Gesù.

San Giovanni Paolo II lo spiega in modo mirabile nella Salvifici Doloris: “Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l'uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l'interiore maturità e grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani e normali. Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso. È lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito Consolatore. È lui a trasformare, in un certo senso, la sostanza stessa della vita spirituale, indicando all'uomo sofferente un posto vicino a sé.”

Tilde diventa, come Santa Teresa di Calcutta, la “matita di Dio” con la quale vengono scritte altre pagine del Vangelo della sofferenza che ci interrogano e ci aprono orizzonti nuovi dove lanciare lo sguardo, e con cui la Carità della Verità viene predicata dalla nostra giovane santa in modo efficace, oltre il tempo, fino ai giorni nostri, come sognava San Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Predicatori cui Tilde appartiene, nel ramo laico.

In questo Vangelo della sofferenza troverà sempre posto Maria Santissima, nostra Madre che per prima ha vissuto ogni sorta di dolore, restando sempre fedele al progetto di Dio, fino alla fine, ai piedi della Croce. Lei ci accompagnerà ogni giorno tenendoci per mano e indicandoci la strada per spalancare la porta all’azione salvifica di suo Figlio Gesù. Alla Mamma Celeste, al Suo Cuore Immacolato, in questo mese a Lei dedicato, possiamo offrire non solo le nostre preghiere ma anche le nostre sofferenze. Lei saprà trasformarle in palpiti di Amore per il nostro Redentore.

Per concludere, trovo assai utile un consiglio di padre Victor Sion, carmelitano, riportato nel suo libro “L’abbandono a Dio “che vorrei condividere nella speranza che sia di conforto e di aiuto a chi sta vivendo momenti difficili e sperimenta solitudine, abbandono, dolore: “Quando viviamo situazioni di fatica o difficoltà, possiamo ripetere più volte, durante la giornata, questa breve preghiera: Io sono presenza di Dio. Signore, riempimi di Te

Come, del resto, ha fatto Tilde.

Marco Ganassi

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