DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

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Quel che conta… Sparare come farisei o sperare come cristiani?

Con il Vangelo di oggi, che si trova alla fine del capitolo 22, ci stiamo avvicinando a grandi passi verso la fine dell’esistenza terrestre di Gesù anche se non è così nel nostro periodo liturgico. Solo 4 capitoli dopo la pericope proposta per questa domenica del tempo ordinario, Mt scrive: “terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso” (Mt 26,1). E segue il racconto della Passione con l’istituzione dell’Eucaristia, poi del processo, e la condanna a morte. Qual è la chiave per accogliere questo “scandalo” come lo chiama S. Paolo, se non quella di un amore senza limiti di un Dio fatto uomo che si china davanti ai suoi fratelli e insegna loro la strada verso il Regno dove c’è posto solo per l’amore (come la festa dei Santi ce lo ricorderà fra qualche giorno).

Nel Vangelo odierno, Gesù è come costretto a parlare d’amore ma preferisce i fatti ai discorsi, soprattutto quando percepisce il tranello: i farisei vogliono “metterlo alla prova”, come appena avevano fatto i sadducei. Però ascolta la loro domanda: “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”. E Gesù da buon Maestro risponde che non è uno solo il più grande comandamento – amare Dio - ma che ne esiste une secondo, simile al primo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Lasciamo queste poche parole scendere in silenzio nel nostro cuore…

Questi comandamenti, li abbiamo sentiti così spesso al catechismo, nelle celebrazioni che fermarsi ancora una volta ci può dare fastidio, anche perché riconosciamo di non essere mai a posto nel praticarli. E poi, il solo fatto di parlare di “comandamento” ai giorni nostri, ci urta le orecchie! C’è davvero bisogno di un comandamento per amare? Tranne se… ripartiamo dall’etimologia di comandare, cioè “mandare con, insieme”. Oppure “affidare, trasmettere”. Si può parlare di comandamento perché siamo mandati tutti insieme sulla strada dell’amore da un Maestro che ci fa da guida. L’amore è il tesoro che Dio ha posto dentro di noi e che ci ha affidato perché si possa trasmettere agli altri.

Nel modo di rispondere alla domanda, Gesù fa notare ai farisei che non basta amare Dio, non basta il primo comandamento da solo; il secondo è simile al primo, dunque anche in importanza: “amerai il tuo prossimo come te stesso”. Dove sta la similitudine? Nella relazione tra le persone unite con l’unico verbo “amare”. Ora, come lo dice il titolo di un libro francese uscito da poco “le coeur ne se divise pas” (il cuore non si divide), l’amore per Dio e il prossimo è uno solo. E quando comincia a dividersi, sappiamo bene come va a finire: non si trasmette più l’amore ma cose cattive.

Scrive S. Giovanni nella sua lettera 1Gv 4,20: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. Non ci possiamo illudere di amare Dio senza amare chi mi sta accanto o anche più lontano. E siccome il fratello, lo devo amare come me stesso, forse bisogna vedere prima, se mi amo davvero. Che cosa vuol dire amare sé stesso? Tante cose di me forse non mi piacciono e le nascondo. Come accolgo il mio fisico, i miei limiti, le mie reazioni, un qualche malessere dentro di me che mi pesa… Tutto ciò che non accolgo di me e della mia storia, provocherà un modo di relazionarmi con me, con l’altro e con Dio non aggiustato; porterò la maschera invece di lasciare brillare l’immagine di Dio che sta in me. Riconciliarsi con sé stesso è a volte il primo passo per accogliere anche l’altro come è, con i suoi doni e con i suoi difetti… Si legge in Tobia 12,10: “coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia sono nemici di sé stessi”.

Come amarci noi stessi allora sinceramente? Lasciandoci amare da Dio. Incondizionatamente. Gratuitamente. Allora il nostro cuore sarà in pace e sarà in grado di trasmettere amore. Se Dio mi ama così tanto, perché non dovrebbe avere lo stesso amore per il mio vicino, Lui che non ha il cuore diviso? Forse ci diventerà più facile praticare la “regola d’oro” che Matteo scrive in un capitolo precedente (7,12): “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti”.

Ma per finire, quale è la buona notizia di questo Vangelo? Mettere un numero di ordine ai comandamenti per rispondere alla domanda dei farisei? Gesù mescola le carte: un unico che ne contiene 3. L’amore non si divide. Ciò che preme a Gesù per accogliere la buona notizia, è di stare in verità con sé stessi, con l’altro e con Dio. Chi si pone in atteggiamento di sfiducia di fronte a Gesù come i farisei che vogliono metterlo alla prova, non si fa le giuste domande. Infatti, andando avanti, il capitolo finisce con questa conclusione: “Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo”. Per accogliere il messaggio evangelico, pieno di speranza, occorre un cuore puro, senza inganno, disponibile alla verità.

Sr. Marie-Jean Mouton Brady

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